racconto di viaggio dal 13 al 31 gennaio di Primo
Affronto questa avventura in compagnia di due amici conosciuti in miei precedenti viaggi. E’ stato organizzato tutto con il fai da te. Abbiamo prenotato i voli intercontinentali con la compagnia Emirates, all’andata con partenza da Roma Fiumicino ed arrivo ad Ho Chi Minh ed il ritorno da Bangkok/Venezia, ovviamente entrambi i voli con scalo a Dubai. La sosta a Dubai è durata in entrambi i casi circa cinque ore. Costo del volo di andata e ritorno € 741,42. Partiamo da Roma alle ore 20,35 ed arriviamo ad Ho Chi Minh il 14 gennaio alle ore 18,50 locali, con il taxi ci trasferivamo al Dragon Hotel Palace prenotato con Booking dall’Italia e ubicato in pieno centro, nel Distretto 1. Anche se stanchi dopo un lunghissimo viaggio, affamati, ci rechiamo per cena in un localino proprio di fronte al nostro albergo. Intanto avevamo ricevuto in camera la telefonata della ragazza vietnamita che ci farà da guida da domani mattina per un tour di tre giorni sul Mekong, guida che abbiamo prenotato tramite un’agenzia Vietnamita di nome Vietnamstay. Dopo la cena facevamo una passeggiata nell’affollato centro di Ho Chi Minh, la città più grande del Paese, un tempo con il nome di Saigon capitale del Vietnam del Sud. Le strade principali del Distretto 1 sono intasate dal traffico composto prevalentemente da ciclomotori che rendono difficile l’attraversamento. La zona frequentata dai turisti occidentali pullula di locali dove si suona musica dal vivo e go go bar. Anche qui i ciclomotori sono numerosi e si fanno largo dribblando i turisti e i carrettini che vendono alimenti decisamente poco invitanti. Mi incuriosiscono i venditori ambulanti di seppie essiccate. I vietnamiti sembrano tutti indaffarati, camminano frettolosamente indipendentemente che usino ciclomotori o che si spostino a piedi. Rientriamo in hotel per il pernotto.
Mercoledì 15 gennaio 2014, Delta del Mekong – Ben Tre
Il mattino seguente consumiamo la colazione all’ultimo piano dell’Hotel. Troviamo anche il tempo di fare un’ulteriore passeggiata nell’isolato più che altro per vedere il fiume di motorini che si muovono all’unisono ogni qual volta che a un incrocio il semaforo diventa verde. Puntualmente arriva in Hotel la nostra guida, una giovane donna che parla un discreto italiano e che si farà chiamare Li. Apprendiamo che ha studiato a Firenze e vissuto a Figline Valdarno. Saliamo sul micro bus messoci a disposizione e ci trasferiamo nel Delta del Mekong. Lasciata la città viaggiamo in una regione rurale disseminata di campi coltivati a riso sul quale sporadicamente insistono delle tombe. Fino al divieto imposto dal Governo alcuni anni fa era tradizione nelle famiglie contadine seppellire i loro cari nei terreni che avevano lavorato per una vita. I vietnamiti che professano un buddismo infarcito di animismo credono che la presenza del loro avo sul terreno sia propiziatorio di un buon raccolto. Di tanto in tanto si vedono dalla strada contadini intenti a lavorare con in testa il caratteristico cappello conico. Oltre al copricapo le donne indossano sovente una mascherina come quella che usano i chirurghi. L’abbronzatura in Vietnam è vista come un segno di povertà ed è giudicata brutta per cui si tende sempre a proteggere il volto. Come a Ho Chi Minh anche sulla strada che percorriamo si assiste a un copioso traffico di ciclomotori, per lo più di fabbricazione giapponese, su cui a volte trovano posto interi nuclei familiari. Il casco lo indossa solo il conducente e in alcuni casi mi è capitato di vedere a bordo pure dei neonati. Più che motociclisti sembrano degli equilibristi, già è difficile districarsi nel caos cittadino ma anche trasportare merce strabordante di ogni genere sulla sella non è certo da meno. Durante il percorso ci fermiamo in un luogo costruito appositamente per i turisti con negozi di souvenir, ristoranti, caffetterie.
Arriviamo sul Delta, una regione segnata dai numerosi corsi in cui si divide il Mekong prima di buttarsi nel Mar Cinese Meridionale. I bracci del fiume separano il territorio in centinaia di isolette più o meno grandi. Arrivati sull’isola di Ben Tre saliamo a bordo di un barcone con cui raggiungiamo sulla riva opposta un villaggio immerso nella rigogliosa vegetazione.
Assaggiamo una caramella ancora calda avvolta in una foglia di carta di riso, un po’ stucchevole ma di consistenza morbida come una mou. Qui si vende anche un distillato locale chiuso in bottiglie dentro le quali è stato posto un serpente. Passeggiamo su un sentiero ricco di piante tropicali come l’albero del pane, il frutto del drago, il puzzolente durian, banane, ananas, manghi, cacao e noci di cocco. Sul percorso incontriamo contadini nelle loro quotidiane mansioni. La guida ci fa notare che c’è una felce con foglie particolari che sfiorandole si chiudono su se stesse. Alla fine del sentiero ci troviamo su una strada di campagna dove saliamo su un carretto trainato da un cavallo con il quale raggiungiamo un altro villaggio sul fiume. Qui ci sono dei ristorantini ad uso dei turisti, prima ci offrono una degustazione di frutti tropicali, poi un’esibizione di canti popolari. Il gruppo musicale è composto da un cantante e da due belle cantanti vestite in abito tradizionale accompagnati da suonatori di strani strumenti a corda e a percussione. Dall’imbarcadero sottostante saliamo su una sampan, la tipica barchetta del Delta con cui solchiamo le acque di uno stretto canale circondato da mangrovie e palme. La barchetta è condotta da una donna che rema in piedi. Alla fine di questo corso d’acqua secondario ci ritroviamo su uno dei grandi bracci del fiume, saliamo su una barca più grande e ci trasferiamo al ristorante affacciato sul fiume. Pranziamo con una specialità locale, un pesce arrostito servito anziché orizzontalmente in un piatto, verticalmente appoggiato su una piccola impalcatura in legno. Arriva un cameriere che messosi un paio di guanti sottili lo dilisca avvolgendo il tutto in foglie di carta di riso. Da tutta questa operazione ne scaturiscono dei piccoli involtini che a noi non rimane che immergere in una scodellina riempita con una salsa che ben si sposa con la pietanza. Chiudiamo il pasto con della frutta fresca. Riprendiamo quindi la navigazione sul barcone che ci riporta dove eravamo partiti questa mattina. Ad attenderci c’è il nostro autista con il micro bus con cui prendiamo la strada per la città di Can Tho. Arriviamo in prima serata all’Hau Giang Hotel ubicato in pieno centro. Dopo aver preso possesso della camera facciamo una passeggiata in città per vedere il viale che risplende di mille decorazioni policrome luminose e il vicino mercato notturno composto da centinaia di bancarelle che vendono di tutto, dall’abbigliamento agli alimenti. Non mancano i venditori di insetti fritti ma per fortuna non vediamo cani allo spiedo. Rientriamo in Hotel per il pernotto.
Giovedì 16 gennaio 2014, da Can Tho a Chau Doc
Ci svegliamo all’alba, consumiamo la prima colazione in Hotel e poi ci trasferiamo con il micro bus e la nostra guida sul lungofiume dove ci imbarchiamo per andare al mercato galleggiante di Cai Rang, il più famoso e genuino del Delta. A differenza di molti mercati galleggianti che si trovano in Indocina e che sono rivolti ai turisti, questo è un mercato vero, al servizio della popolazione locale. Si vende all’ingrosso e l’unica cosa che è consentito comprare sono le ananas servite da una barca dopo averle sapientemente tagliate. Il mercato è pieno di barconi carichi di ogni genere di mercanzia. Tra le barche più grosse si aggirano barchette di singoli venditori paragonabili ai nostri ambulanti. Saliamo anche su una chiatta adibita a negozio di frutta e verdura. Tornando indietro osserviamo le povere casette galleggianti dei pescatori, una segheria di legname con grossi tronchi d’albero tenuti in acqua affinché non secchino e le sporadiche piante che galleggiano sulla superficie del Mekong. Approdiamo in un mercato coperto dove si vendono al dettaglio pesce, carne, indumenti, borse, valige e cianfrusaglie di ogni genere. Tutto appare caotico ai nostri occhi occidentali, l’ambiente polveroso e disordinato emana odori forti. I pescivendoli accovacciati con i loro copricapo conici prelevano il pesce ancora vivo da recipienti di plastica e lo squartano preparandolo per la vendita. Un altro maneggia della carne indecifrabile che spero tanto non essere di cane. All’uscita dal mercato ci troviamo in una strada polverosa su cui si affacciano negozietti ad uso dei locali e carretti con immangiabile gastronomia mentre tutto intorno gli immancabili ciclomotori cercano di farsi strada tra la gente. A piedi arriviamo al nostro micro bus che ci attende per un lungo trasferimento a Chau Doc. Dobbiamo camminare per ore, durante il tragitto ci fermiamo per pranzo in una Cocodrile Farm. L’ambiente è pulito, mangiamo la coda di coccodrillo e un po’ di frutta. Visitiamo le vasche che ospitano numerosi coccodrilli nati in cattività, la maggior parte dei quali destinati alla pelletteria. C’è anche un allevamento di cani che non oso pensare a che fine faranno. Si prosegue poi per Chau Doc. Arrivati in città facciamo una prima tappa in un grande albergo per una prima panoramica del fiume dalla terrazza, poi proseguiamo per l’imbarcadero dove prendiamo posto su una barca. Prima tappa al villaggio galleggiante dei pescatori costituito da grosse chiatte su cui sono poste le abitazioni. Di fronte alla casa il resto della chiatta funge da terrazza su cui si apre una botola di accesso all’allevamento dei pesci, quasi sempre si tratta del pangasio della famiglia dei pesci gatto. Lanciando del mangime nella botola si ottiene un turbinio di pesci che sguazzano nell’acqua provocando alti schizzi. Risaliamo sulla barca portandoci nel villaggio su palafitte dell’etnia Cham, una popolazione musulmana originaria del Vietnam centrale. Le palafitte sono collegate le une alle altre da alte e apparentemente precarie passerelle. Mentre noi stiamo attenti a dove mettere i piedi i bambini locali attraversano ponti e passerelle con assoluta tranquillità. Le case su palafitta rispondono a due esigenze: preservano l’abitazione dalle numerose esondazioni del Mekong e forniscono ombra durante le afose giornate visto che la gente vive soprattutto sotto la casa. Il villaggio palafitticolo è diviso in due da una strada rialzata su cui si affaccia la piccola Moschea. Ripercorse le passerelle a ritroso torniamo all’imbarcazione che ci porta all’imbarcadero da cui eravamo partiti. Con il micro bus andiamo all’Hotel che ci ospiterà stanotte. La sera facciamo una passeggiata in centro tra bancarelle e luci multicolori. Rientriamo quindi in Hotel per il pernotto.
Venerdì 17 gennaio 2014, Chau Doc
Al risveglio facciamo colazione in Hotel poi ci trasferiamo con il micro bus all’imbarcadero sul Mekong. Qui salutiamo la nostra guida Li e conosciamo il ragazzo che ci assisterà fino in Cambogia anche se solo in inglese. Saliamo sulla barca veloce, ma non troppo che dovrà portarci fino a Phnom Penh. Solcando le acque del Mekong passiamo di fronte a villaggi palafitticoli. Dopo poco più di un’ora giungiamo alla dogana vietnamita, posta su una chiatta, dove espletiamo le formalità doganali. Risaliamo in barca e proseguiamo per la vicina dogana cambogiana.
Entriamo in Cambogia dalla frontiera fluviale sul Mekong, la barca su cui viaggiamo accosta sulla riva sinistra del Mekong dove scendiamo a terra per ottenere il visto cambogiano. La procedura è breve e veloce e costa 25 dollari. Ripartiamo con l’imbarcazione alla volta di Phnom Penh dove arriviamo a fine mattinata. Al porto fluviale della capitale saliamo su un taxi che ci conduce all’Hotel Green Centre Point Inn che abbiamo prenotato dall’Italia. Preso possesso delle camere con un tuk tuk ci rechiamo nei pressi del Palazzo Reale. E’ ancora presto e il Palazzo è chiuso per la pausa pranzo. Verso le 14,30 quando aprono i cancelli, siamo tra i primi ad entrare. Fa molto caldo quando iniziamo la nostra visita aggregandoci a una coppia in luna di miele e alla loro guida, un pensionato piemontese che vive da diciassette anni in Cambogia. Visitiamo i giardini del Palazzo e la Pagoda d’Argento che conserva insieme alle immagini sacre tipiche del buddismo anche numerosi doni dei fedeli paragonabili agli ex voto delle nostre Chiese. Nel parco c’è anche la ricostruzione in scala del Tempio di Angkor Wat che vedremo nei prossimi giorni. Nel recinto del Palazzo è visitabile una casa tradizionale Khmer, una strana pianta i cui fiori sbocciano e cadono a terra nell’arco di una giornata e un gruppo musicale tradizionale che si esibisce. C’è anche una mostra di foto che ritraggono il poliedrico Re Sihanouk, da sovrano ad attore cinematografico, uno dei personaggi politicamente più controversi della storia cambogiana, compromesso anche con il feroce regime dei Khmer rossi. Da qui rientriamo in tuk tuk in Hotel dove prenotiamo l’autobus che il giorno dopo dovrà portarci a Siem Reap. Mentre i miei compagni di viaggio si riposano visito il vicino mercato coperto dove si vende abbigliamento taroccato, successivamente consumiamo la cena in una pizzeria. Nei pressi c’è la strada dell’amore con numerosi go go bar zeppi di signorine che offrono la loro compagnia.
E’ interessante osservare che queste giovani ragazze vengono accompagnate sul luogo di lavoro dai loro familiari e in alcuni casi dal fidanzato. Non sorprende che questi bar del si trovino a fianco ad attività assolutamente normali. Rientriamo in Hotel con il tuk tuk per il pernotto.
Sabato 18 gennaio 2014, Tonle Sap e Siem Reap
Il mattino seguente ci alziamo e partiamo anche perché non è prevista la colazione. Viene a prenderci un micro bus che ci porta alla stazione degli autobus e da qui prendiamo il bus di linea con destinazione Siem Reap. Percorriamo quasi tutta la Cambogia su strade di campagna che attraversano villaggi rurali e cittadine polverose. Il traffico è composto prevalentemente da ciclomotori giapponesi stracarichi di gente e mercanzie. Sulla sella si carica di tutto, sacchi di rafia accatastati l’uno sull’altro pieni all’inverosimile, gabbie con polli vivi ecc. Molti hanno adattato i loro ciclomotori trasformandoli in sidecar rudimentali, altri vi trainano un carrello utilizzato per il trasporto merci o delle persone. Qui non ci sono taxi ma solo tuk tuk o al limite autovetture private comunque decisamente rare. Sfilano davanti al finestrino le case dei villaggi poste su palafitte. In casa infatti si va solo per dormire perché tutto il resto avviene sotto, tra i pali che sorreggono l’abitazione. Qui si tesse, si prepara da mangiare, si discute e si gioca. Durante il trasferimento ci offrono uno snack per colazione e successivamente ci fermiamo in un ristorante lungo la strada per il pranzo. Arriviamo alla stazione dei bus di Siem Reap nel pomeriggio, appena scesi ci avvicina un ragazzo proponendoci di utilizzare il suo tuk tuk per raggiungere il centro città, non abbiamo neanche il tempo di accertarci del suo mezzo di trasporto che fugacemente prende la valigia di uno dei miei amici e la porta con sé. Siamo così costretti a salire sul suo traballante e fatiscente tuk tuk che furbescamente aveva nascosto al nostro sguardo dietro a un mezzo più grande. Con una guida un po’ troppo sportiva ci porta al Neth Socheata Hotel ubicato in un vicolo tra il Vecchio Mercato e le strade della movida notturna, in pratica siamo in pieno centro ma non ce ne siamo ancora resi conto. L’Hotel è carino, ha un ristorante sul lato opposto del vicolo e una particolarità: per entrare bisogna togliersi le scarpe. Dopo aver preso possesso della camera tripla con il solito tuk tuk percorriamo una decina di km che ci separano dal Lago Tonle Sap. Arrivati all’imbarcadero saliamo su una barca a motore per un’escursione al villaggio galleggiante abitato dai vietnamiti. Qui si vive di pesca, le case dei pescatori sono posizionate su chiatte che fungono da terrazza e sotto di queste c’è l’allevamento accessibile attraverso una botola. Nel villaggio tutto galleggia: le case, il distributore di benzina, il ristorante, i negozi, la scuola e la Chiesa Cattolica. Tra una fila di case e l’altra decine di imbarcazioni solcano il Tonle Sap condotte spesso da persone che indossano il tipico copricapo conico e a volte anche una mascherina simile a quella che usano i chirurghi per riparare il volto dall’abbronzatura. Alcuni bambini giocano navigando su dei secchi di plastica e remando con una paletta. Ogni tanto qualche imbarcazione attraversa a velocità sostenuta il villaggio alzando onde che fanno traballare tutto. Facciamo una breve sosta al ristorante per godere di una bella panoramica dalla terrazza posta al primo piano, poi ci fermiamo allo spaccio dove tentano di farci comprare un grosso sacco di riso per donare alla scuola ma finiamo per acquistare un sacchetto di caramelle, quindi facciamo tappa alla scuola e alla vicina Chiesa Cattolica. Rientriamo all’imbarcadero dove ci attende il tuk tuk e torniamo all’Hotel di Siem Reap. Ceniamo al ristorante di fronte all’Hotel dove non riesco a mangiare quello che ho ordinato. Andiamo poi al Night Market, un mercato coperto pieno di bancarelle che vendono ogni tipo di cianfrusaglie ad uso dei turisti, ma anche centri estetici e centri per il massaggio. Nelle vicine strade della movida notturna c’è un clima festaiolo, i locali propongono musica dal vivo o roboante disco-music, le strade pullulano di turisti che ballano e i bar servono alcol a fiumi. Ci sono poi i procacciatori di affari che propongono in continuazione un tour in tuk tuk, un po’ di droga o una ragazza per la notte. Anche per la cena c’è solo l’imbarazzo della scelta, si va dal ristorante khmer a quello giapponese, dal thai all’italiano, dal messicano, al belga, all’irlandese. Anche i desideri sessuali sono tutti accontentati, c’è il locale rivolto alla clientela gay, le prostitute e i lady boy.
Le strade sono affollate, usciamo da questa bolgia e rientriamo in Hotel.
Domenica 19 gennaio 2014, Angkor
Al risveglio facciamo colazione al ristorante di fronte all’Hotel, è compresa nel prezzo della camera ma non c’è quasi nulla. Il tuk tuk viene puntualmente a prelevarci e ci trasferiamo nel vicino parco archeologico di Angkor. Dopo aver pagato 20 usd di ingresso proseguiamo per il gioiello dell’impero Khmer, uno dei monumenti più famosi del Mondo, l’Angkor Wat. E’ talmente grande che è difficile abbracciarlo interamente con lo sguardo. Le cerchie di mura sono precedute da un fossato. Inutile descrivere questo Tempio universalmente conosciuto, la sensazione è comunque di averlo già visto. Però trovarsi in mezzo a queste storiche mura, osservare i bassorilievi dei cortili, salire in cima a una torre è comunque un’esperienza irrinunciabile. A qualche km da qui percorrendo una strada nella foresta, si arriva all’Angkor Thom, preceduto da una porta trionfale. Di quello che doveva essere questo complesso sacro sono rimaste le terrazze con raffigurazioni di elefanti e il Bayon, un ammasso spettacolare di pinnacoli su cui sono raffigurati volti umani. Anche qui non mancano i bassorilievi sui muri perimetrali anche se in buona parte sono crollati. Con il tuk tuk proseguiamo il circuito classico e superata un’altra porta trionfale e baipassato un altro Tempio ci fermiamo a pranzo in uno spartano ristorantino all’aperto. La cucina cambogiana ha sapori troppo forti per cui riusciamo a mangiare solo parzialmente quello che ci portano, per fortuna c’è il nostro “tassista” che ingurgita i nostri avanzi come una cloaca. Mentre tentavamo di pranzare ha pure trovato il tempo per riparare una ruota del tuk tuk che stava dando eloquenti segni di cedimento. Si riparte alla volta del Tempio avvolto dalle grosse radici delle piante, immerso nella foresta tropicale è decisamente meno imponente dei precedenti ma sicuramente il più romantico. Con i secoli la vegetazione ha preso il sopravvento sull’opera dell’uomo provocando crolli, inclinando le strutture, attanagliando i templi in una fantastica morsa floreale. Per il tramonto torniamo all’Angkor Wat per ammirare i colori che cambiano man mano che cala la sera. Le torri Khmer rispecchiano negli stagni. Soddisfatti rientriamo in Hotel a Siem Reap. La sera passeggiamo di nuovo tra la movida notturna, ceniamo in un buon ristorante messicano, poi ci dirigiamo al Night Market dove un mio amico tenta di acquistare una valigia. C’è meno gente nelle strade rispetto alla sera precedente, forse perché siamo a inizio settimana. Torniamo in Hotel per il pernotto.
Lunedì 20 gennaio 2014, Siem Reap
Abbiamo già visto tutto quel che avevamo programmato per cui oggi ce la prendiamo con calma. Ci alziamo tardi, facciamo colazione al ristorante dell’Hotel poi con il solito tuk tuk (uno dei peggiori visti in circolazione) ci facciamo portare in campagna a vedere un po’ di vita rurale, ben poca a dire il vero. Un po’ più interessante il mercato riservato ai locali che si sviluppa in parte in strade polverose e trafficate e in parte all’interno di una struttura coperta. Si vende di tutto, compresi dollari statunitensi ed euro falsi, animali e pesci vivi e morti, immagini sacre, insetti fritti, rane saltellanti. E’ caldo ed un mio amico non si sente un granché bene e preferisce restare in Hotel.
I miei compagni di viaggio sono fortemente preoccupati per i disordini politici che stanno avvenendo in Thailandia ed in particolar modo a Bangkok ed addirittura uno di loro è propenso al rientro in Italia. Il programma di viaggio prevedeva di volare su Bangkok dove avevamo prenotato un pernotto nelle vicinanze della stazione ferroviaria ed il giorno seguente in treno verso Chiang Mai passando per Ayuttaya. Si stabiliva di cambiare il programma decidendo di baipassare la Città di Bangkok prenotando un volo Bangkok/Chiang Mai in aggiunta a quello già prenotato dall’Italia Siem Reap/Bangkok. Il mio amico, non avendo trovato compagnia per il rientro decide di proseguire il viaggio con noi.
La sera usciamo per cenare al ristorante messicano della sera precedente, Stasera le strade della movida notturna sono nuovamente affollate. Torniamo in Hotel per il pernotto.
Martedì 21 gennaio 2014, partenza dalla Cambogia
Dopo la colazione al ristorante di fronte all’Hotel, partiamo con un taxi prenotato alla reception alla volta dell’aeroporto. In effetti non è un vero taxi ma una normale autovettura che offre questo servizio. Con il volo AirAsia Siem Reap/Bangkok lasciamo la Cambogia per arrivare in Thailandia. Atterrati all’Aeroporto Dong Mueang di Bangkok espletiamo le formalità doganali, pranziamo nel Burger King e attendiamo il volo Air Asia per Chang Mai. Il volo è breve e in poco più di un’ora siamo nella seconda città del Paese, nella capitale dei Lanna. Il tempo di prenotare il taxi nella hall dell’Aeroporto ed eccoci all’Hotel prenotato frettolosamente solo ieri pomeriggio per i due giorni di anticipo arrivati a Chiang Mai non avendo trovato posto nell’Hotel già prenotato nella stessa città. Siamo fuori dal quadrilatero in cui è racchiuso il centro storico, la hall è bella, le camere no. Abbiamo a disposizione due doppie ma in entrambe le camere non c’è acqua calda. Facciamo una passeggiata contornando i fossati che un tempo circondavano le mura di cui ora restano solo brevi tratti. E’ ancora in piedi una delle porte che davano accesso alla città. Di notte le vita si sviluppa però all’esterno del centro storico, in particolare c’è una lunga via animata da go go bar pieni di giovani ragazze che con i loro sinuosi corpi invitano i turisti ad entrare per bere con loro o giocare con l’onnipresente biliardo a stecca. Numerosi anche i centri massaggi e i ristoranti per tutti i gusti e per tutte le tasche. Da questa via si diramano alcune stradine laterali che nascondono night club e locali piuttosto ambigui. C’è anche una grossa struttura coperta che ospita bancarelle, go go bar e un ring per la thai-boxing, una forma di pugilato in cui si usano anche i piedi. Alla fine della via c’è il Night Market dove si trova un po’ di tutto e soprattutto il taroccato. Lungo la strada ceniamo in un ristorante dove si ascolta buona musica dal vivo. Rientrando verso l’Hotel passeggiamo lungo i fossati che circondano il centro storico, anche qui sono presenti numerose attività tra cui agenzie di viaggio in una delle quali abbiamo prenotato il tour per domani. Tornati all’Hotel per il pernotto uno dei miei amici (quello che sta attento scrupolosamente a quello che mangia e beve) ha i primi sintomi della diarrea del viaggiatore che comprometterà in parte i prossimi tre o quattro giorni.
Mercoledì 22 gennaio 2014, il Triangolo d’Oro
La mattina sveglia di buon mattino in quanto un pulmino ci verrà a prendere per l’escursione al triangolo d’oro ma uno dei miei amici crede di aver preso la Dengue e di avere la febbre alta. Dotato di un termometro gli misuro la temperatura e… il termometro sale… sale… e si ferma a 36. Rinfrancato decide di partire con noi ma è deciso a non mangiare nulla per l’intera giornata.
La zona del Triangolo d’Oro così definita si trova nella Thailandia nord occidentale ed è percorsa dal Mekong che segna i confini con Laos e Birmania. Negli anni 80-90 era tristemente famosa per essere il principale mercato mondiale della droga grazie alle estese piantagioni di papavero da oppio. Il trasferimento è lungo ed alquanto scomodo dato il poco spazio tra un sedile e l’altro, un vero calvario. Arrivati nelle vicinanze di Chang Rai visitiamo un Tempio buddista bianchissimo e finemente elaborato nei minimi dettagli. La complessa simbologia spazia dalle statue dei dannati che allungano le loro mani dagli inferi alla beatitudine della raggiunta salvezza. Il Tempio è molto bello da fotografare. Proseguiamo per il vero e proprio Triangolo d’Oro, la zona di confine dove avveniva il contrabbando dell’oppio ora convertita al turismo di massa. Sul lungofiume c’è una grossa statua dorata di Budda. Saliamo su una barchetta a motore che prima ci porta in prossimità di un isoletta birmana, poi fa scalo in Laos dove scendiamo. Questa parte turistica del Laos è praticamente un Bazar dove si vende di tutto ma in particolare il taroccato di buona qualità dove io ovviamente ne approfitto.
Risaliti sulla barca torniamo sull’altra sponda del fiume, in Thailandia. Dall’imbarcadero proseguiamo più a nord fermandoci in un ristorante dove si mangia malissimo. Ci fermiamo poi nella città di Mae Sae posta proprio sul confine con la Birmania, Paese che da alcuni anni si chiama Myanmar. Visitiamo il locale mercato coperto che termina con una terrazza che si affaccia su un torrente che segna il confine tra i due Paesi. Solo una trentina di metri ci separano dalle case in territorio birmano. Ripartiamo per andare a visitare un villaggio multietnico con il relativo mercato artigianale. Qui incontriamo tra gli altri gli Akka e i Karen. Gli Akka che sono originari dello Yunnan in Cina sono noti per i loro copricapo particolarmente elaborati, rifiniti con palle argentate. I Karen sono famosi per le loro donne a cui fin da piccole viene allungato il collo con degli anelli metallici. Sono le così dette donne giraffa che qui vediamo impegnate al telaio. Il villaggio è costituito prevalentemente da capanne ma sbirciando nei retrobottega si nota che anche qui grazie all’apporto dei turisti, la modernità sta arrivando. A fianco alle umili capanne sono presenti ciclomotori e antenne satellitari. Anche la più originale delle Karen che mostra orgogliosamente il suo lungo collo non rinuncia ad usare il cellulare. Tutto ciò che è tribale da queste parti è diventato un business. Dopo un lungo e scomodo trasferimento torniamo in Hotel a Chang Mai. Con il tuk tuk torniamo nella strada della movida notturna per cenare in un ristorantino.
Giovedì 23 gennaio 2014, Doi Suthep e Chiang Mai
Anche oggi il mio amico non sta bene ma dobbiamo trasferirci presso il Roseate Chiang Mai, Hotel prenotato dall’Italia il quale è ubicato dentro le mura cittadine. Inoltre la sistemazione è migliore della precedente anche se l’acqua calda continua a latitare. Prendiamo uno di quei furgoncini rossi adibiti al trasporto delle persone e saliamo sulla collina di Doi Suthep che sovrasta la città e ospita il più famoso tempio della Thailandia settentrionale. La strada arriva fino a un certo punto, poi si prosegue a piedi su una lunga scalinata il cui passamano è costituito da un naga (una specie di serpentone, reso famoso dalla trasmissione Cina Express) o in alternativa, come abbiamo fatto noi, su una ferrovia a cremagliera. In cima alla montagna si potrebbe godere di una panoramica su Chang Mai ma la foschia dovuta allo smog lo impedisce. Il Wat, come si chiamano i Templi in Thailandia, presenta tutte le classiche architetture buddiste: statue dorate, chedi, immagini di Budda, elefanti, naga ecc. Scendiamo per la scalinata e riprendiamo il furgoncino dirigendoci più in alto in un villaggio dell’etnia Mong. Il villaggio è originale ma troppo turistico, in pratica è un grande mercato artigianale anche se credo che molti degli oggetti esposti siano di produzione industriale. I prezzi sono contenuti forse per la nutrita concorrenza. Tra i banchi intravediamo qualche capanna degli autoctoni, C’è anche un piccolo ma insignificante Museo e un giardino botanico terrazzato in cui la fanno da padroni i papaveri da oppio. Una cascatella artificiale completa l’idilliaco quadro che nasconde un passato di crocevia della droga di questa regione. Torniamo con il furgone a Chang Mai e dopo aver mangiato un hamburger in un pub lungo i fossati ci dedichiamo a vedere i principali Templi della città: Entriamo nell’ordine nel Wat Chedi Luang, che presenta anche un’alta e antica Stupa danneggiata da un terremoto, nel vicino Wat Phan Tao in tek di e nel Wat Phra Singh, il più celebre della città. I tre Templi sono belli, costruiti in stile Lanna con tetti spioventi che si sovrappongono uno sull’altro. Al loro interno, a cui si accede dopo essersi tolti le scarpe, si trovano grosse statue dorate di Budda assiso. Gli interni sarebbero sobri ed eleganti ma tutte le cianfrusaglie dorate appese al soffitto e alle pareti come i nostri ex voto li rendono kitsch. Vedere questi tre templi comporta una lunga passeggiata al termine della quale prendiamo un tuk tuk per l’Hotel. Riusciamo solo la sera, ancora in tuk tuk, per cenare in un ristorante italiano del centro storico. Uno dei miei amici decide di prenotare un’escursione per il giorno successivo, escursione a cui rinuncio volentieri trattandosi di pochissima cosa. Torniamo in Hotel per il pernotto ma vedo il mio amico sofferente.
Venerdì 24 gennaio 2014, Chiang Mai
Vengo svegliato da uno dei miei compagni di viaggio perché vuole che convinca l’altro compagno a non partecipare all’escursione prenotata date le sue pessime condizioni di salute. Resomi conto della grave situazione decido di telefonare alla Compagnia di Assicurazione per essere messo in contatto con un medico. Dopo tanto provare troviamo un interlocutore assonnato (in Italia è notte fonda) il quale dopo tanti minuti (al costo di oltre 6 euro a minuto) ci comunica che saremo al più presto richiamati da un medico. Lasciato l’amico in precarie condizioni a letto ci rechiamo al ristorante per la colazione lasciando il telefono al mio amico per essere contattato dal medico dell’assicurazione il quale puntualmente richiama e suggerisce al nostro amico di prendere delle medicine per bloccare la diarrea in sostituzione dell’inefficace Imodium preso in concomitanza col Malarone.
Nel pomeriggio con il mio compagno di viaggio in salute ci rechiamo a visitare alcuni Mercatini ed in particolare ci rechiamo nella famosa fabbrica di ombrelli colorati dove ci facciamo disegnare a mano una t-shirt. In serata cena e ritorno in Hotel per il pernotto.
Sabato 25 gennaio 2014, da Chang Mai a Phuket
Stamani dopo aver usufruito della colazione a buffet dell’Hotel e con il nostro amico ancora in precarie condizioni, prendiamo il taxi per l’Aeroporto dove prendiamo il volo diretto a Phuket. L’Aeroporto dove atterriamo dopo circa due ore si trova a nord dell’isola, prendiamo il micro bus per Patong percorrendo una strada intensamente trafficata. Arriviamo a destinazione dopo circa un’ora e mezza. Alloggiamo in un Hotel di nome The Guesthouse, ubicata in una strada dissestata, una sistemazione a quindici minuti a piedi dal centro della cittadina da percorrere tra le pozzanghere. Abbiamo a disposizione due camere doppie. Da qui andiamo a cena in un vicino ristorante italiano lussuoso dove il nostro amico ancora non tocca cibo.
Dopo la cena ci dirigiamo verso il centro cittadino di Patong la cui strada principale si chiama Bangla Road, la strada della movida notturna, Si tratta di una strada pedonale affollata di turisti su cui si affacciano go go bar, locali notturni enormi come il Tiger pieni di ballerine di lap dance in abiti succinti, night club, bordelli mascherati da centri massaggio. Tutto questo però possiamo solo immaginarlo perché stasera i locali sono chiusi per ordine pubblico in quanto è in corso una tornata elettorale molto delicata, preceduta nei giorni scorsi da scontri in piazza che hanno portato anche alla morte di alcune persone. Episodi questi in realtà accaduti nella lontana capitale ma il divieto di divertirsi e bere alcolici è esteso a tutto il territorio nazionale. E allora passeggiamo sulla Bangla insieme a migliaia di turisti smarriti e sorpresi dall’oscuramento forzato. Rientriamo in Hotel per il pernotto ed il gestore dell’Hotel, che è un brianzolo, ci consegna i voucher per l’escursione di domani alle Phi Phi Islands e dobbiamo alzarci di buon ora.
Domenica 26 gennaio 2014, Phi Phi Islands e Patong
Ci alziamo presto, di fatto siamo noi ad aprire per primi il cancello della Guesthouse. Aspettiamo molto più del previsto l’arrivo del micro bus dell’agenzia, sollecitandoli pure con una telefonata. Finalmente vengono a prelevarci e ci conducono ad un porto privato vicino alla città di Phuket. Prima ci portano nella sede dell’agenzia, poi al molo di legno dove saliamo su un imbarcazione velocissima. Dopo essere stati sballottati sostiamo nella piccola Isola di Khai. La sabbia è bianca e impalpabile e probabilmente questa isola è anche bella ma è talmente affollata di turisti e ombrelloni che difficilmente è apprezzabile. Vi sono delle rocce che separano le due spiagge. Lasciata l’isoletta proseguiamo la crociera alla volta dell’Arcipelago delle Isole Phi Phi. Sono isole dall’alto profilo roccioso il cui profilo si tuffa verticalmente in mare. Precipizio a parte le isole sono ricoperte da ricca vegetazione. Di tanto in tanto, tra un dirupo e l’altro, si aprono delle strette baie bagnate da un mare che assume strane sfumature. Piccole spiaggette irraggiungibili con la nostra imbarcazione, hanno trovato spazio in fondo alla baia. Lasciata la baia ci fermiamo in una spiaggia affollata di motonavi e turisti, non per prendere il sole, ma per mangiare a buffet le schifezze che offre il ristorante del posto. Come all’isola Khai non ci sono moli e per raggiungere la riva si scende dalla barca e si cammina nell’acqua. Dopo l’insufficiente pasto andiamo con l’imbarcazione alla vicina Monkey Beach sulla quale vivono alcune scimmie talmente abituate ai numerosi turisti da non apparire assolutamente preoccupate della nostra presenza. Una scimmietta si beve tranquillamente una bottiglia di Pepsi Cola. Proseguiamo la crociera, ci fermiamo di fronte alla Grotta dei Vichinghi che si apre in una delle alte falesie. I Pirati qui non dovrebbero mai averci abitato ma la grotta viene utilizzata dai locali per raccogliere i nidi di rondine molto ricercate dalla cucina cinese. Ci sono infatti impalcature di bamboo a questo scopo. Dopo essere passati da un’altra bella baia, talmente stretta e circondata da falesie da sembrare di essere in un canyon sommerso dalle acque, sostiamo in quello che da alcuni anni è diventato un must, Maya Beach. Il luogo è famoso per essere stato il set del film “The Beach” con Leonardo Di Caprio. Purtroppo è affollatissimo e impossibile da apprezzare. Torniamo al porticciolo da cui siamo partiti e da dove con il micro bus ci riportano a Patong in prossimità della guesthouse. L’escursione è stata deludente, il cibo scarso e poco invitante, i luoghi super affollati. La sera andiamo a Bangla Road e rispetto a ieri la situazione è notevolmente cambiata. Ora i locali notturni sono tutti aperti, i grandissimi bar come il Tiger che occupa tutto un isolato, sono stracolmi di giovani ragazze che ballano, sulla strada avvenenti prostitute si confondono con i lady boy e le dark queen, un furgone scoperto con due ragazzi che mimano la thai box invitano chiassosamente con un megafono ai combattimenti. Ceniamo in un ristorante a base di pesce. In effetti è una grande struttura coperta in fondo ad una traversa di Bangla Road dove sono ubicati numerosi ristoranti specializzati in pesce, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Andiamo in quello più frequentato e ci facciamo cuocere il pesce dopo averlo scelto sul bancone. Successivamente rientriamo in guesthouse per il pernotto.
Lunedì 27 gennaio 2014, James Bond Island e Phang Nga Bay
Anche stamani ci alziamo di buon ora per un’escursione. Dopo l’esperienza non troppo positiva di ieri la affrontiamo con poco entusiasmo ma non possiamo lasciare Phuket senza aver visto la celeberrima isola di James Bond. Questa volta il micro bus dell’agenzia è puntuale, il trasferimento al porto molto più lungo perché dobbiamo raggiungere il nord dell’isola. Anche il Porto è meglio di quello di ieri, il molo è in cemento armato e non di tavole sconnesse come quello di ieri. L’imbarcazione non è un motoscafo veloce ma un mezzo piuttosto grande e lento. Questo ci permetterà di gustare il panorama e di navigare dolcemente assaporando la brezza marina. Davanti a noi si stagliano gli spettacolari faraglioni che costituiscono il Parco Marino di Phang Nga Bay. Sembra di essere a Guilin in Cina ma la temperatura qui è decisamente più gradevole. E’ una specie di Baia di Halong posta ai tropici, tutto è paesaggisticamente molto bello. La prima sosta è di fronte a una di queste isole calcaree che offrono al mare le scoscese pareti. La nostra nave è dotata di canoe e l’equipaggio è formato da numerosi vogatori che ci accompagneranno. Su ogni canoa trovano posto dai due ai tre turisti più il vogatore. Voghiamo entrando all’interno di una grotta alla fine della quale ci si ritrova in una laguna abitata da scimmie e circondata da mangrovie. Percorriamo la grotta a ritroso, il barcaiolo con una torcia ci illumina alcune stalagmiti e una colonia di pipistrelli. Risaliamo sulla nave e proseguiamo la crociera. Tutta un’altra cosa rispetto allo snervante tour di ieri, oggi possiamo rilassarci, possiamo consumare frutta fresca, biscotti ripieni molto buoni e bibite a volontà. Scendiamo nuovamente in acqua con le canoe in prossimità di un’altra isola-falesia e passando da uno stretto pertugio ci ritroviamo in una laguna interna molto bella con mangrovie e spiaggetta dove approdiamo. Dopo brevissima sosta risaliamo sulla canoa percorrendo all’inverso la galleria naturale che ci separa dal mare aperto e raggiungiamo la nave. A bordo ci aspetta il pranzo a buffet a base di pesce, riso e frutta. Intanto facciamo rotta per l’Isola di James Bond in prossimità della quale trasbordiamo su una long boat per attraccare all’imbarcadero. Anche questa piccola isola è costituita da una irta conformazione calcarea, E’ diventata famosa nel mondo dopo che nel 74 vi è stato girato parte del film “L’uomo dalla pistola d’oro” del ciclo di 007. L’uomo in questione era interpretato da Christopher Lee che su quest’isola aveva il suo rifugio segreto. In effetti sull’isola c’è una grotta ma soprattutto c’è quell’isolato faraglione che si erge dal mare che è diventato un vero e proprio must. Ovviamente a seguito della fama qui è pieno di turisti e c’è pure un conseguente mercatino di souvenir. Il tutto però non riesce a sciupare un luogo di per se veramente bello e ci sentiamo anche noi degli avventurieri come 007 dopo una giornata trascorsa a navigare in un luogo così spettacolare. Lasciamo quest’isola ma solo per recarci ad un’altra ma di tutt’altro tipo. Questa volta si tratta della classica isola tropicale con sabbia bianca e mare cristallino. Anche per venire qui bisogna usufruire delle canoe perché non ci sono approdi. Ne approfittiamo per fare un’oretta di balneazione. Non siamo molti turisti per cui possiamo godere della spiaggia e del bar dove consumiamo una bibita. Mentre comincia a salire l’alta marea con le canoe raggiungiamo la nave e partiamo per il rientro a Phuket. Arrivati al molo saliamo sul micro bus che in circa un’ora ci conduce alla Guesthouse di Patong. Bellissima escursione di cui sono pienamente soddisfatto e che mi ripaga della delusione del giorno precedente. La serata la trascorriamo in Bangla Road dove ceniamo nel ristorante della sera precedente, ordiniamo degli spaghetti allo scoglio, immangiabili. Chiamo il cameriere e lo invito a verificare la schifezza che mi ha servito. Aspetto alcuni minuti senza avere risposto ed allora mi alzo e vado via prendendo posto nel ristorante attiguo dove vengo servito di un ottimo spaghetto allo scoglio. Due chiacchiere e poi a letto.
Martedì 28 gennaio 2014, Patong
Finalmente abbiamo un giorno di relax anche a Patong il che significa che non abbiamo escursioni e non c’è nulla di programmato. Ci alziamo tardi e ognuno di noi fa quello che vuole. Io vago senza meta tra Patong e la Guesthouse. La sera invece esco con uno dei miei amici per andare a cena al mercatino del pesce dove ti scegli quello che vuoi mangiare e te lo fai cuocere grigliato o fritto. Ti siedi poi a un tavolo dove ordini da bere e assisti a uno spettacolino. Noi abbiamo l’occasione di vedere artisti che sapientemente giocano con il fuoco. C’è anche della buona musica eseguita dal vivo e un bravo contante locale. Rientriamo alla Guesthouse passando per l’affollata Bangla Road.
Mercoledì 29 gennaio 2014, Ayutthaya e Bangkok Night
Appena alzati vengono a prenderci con il taxi prenotato ieri in Gusthouse e ci portano all’Aeroporto. Come all’andata la strada è abbastanza lunga ma il traffico questa volta è limitato e arriviamo in una quarantina di minuti. Aspettiamo al gate per più di tre ore poi partiamo con volo AirAsia alla volta dell’Aeroporto Dong Mueang di Bangkok. L’Aeroporto si trova a nord della capitale, a una trentina di chilometri dal centro e a 80 dalla città di Ayutthaya. Prendiamo un taxi per Ayutthaya dove dopo circa un’ora ci facciamo lasciare di fronte alla Stazione ferroviaria. Lasciamo i bagagli all’interno del deposito presso la Stazione. All’uscita veniamo praticamente accerchiati da un guidatore di tuk tuk che a prezzi astronomici vorrebbe farci visitare la città. Tentiamo di trattare il prezzo con un suo collega ma ci appare subito chiaro che c’è un cartello tra i vari conducenti per cui il prezzo non scende. Attraversata la strada però risolviamo la situazione noleggiando una bicicletta ciascuno con relativo lucchetto, il prezzo è conveniente e ci forniscono anche di una mappa dei siti storici. Per tutto il pomeriggio girovaghiamo tra i vari Templi racchiusi fuori e dentro il centro storico costituito da un’isola circondata da fiumi e canali. Prima tappa al Wat Mahathat per osservare i numerosi resti di stupa, cortili, statue di Budda. Ayutthaya fu la capitale del Siam e nel periodo di massimo splendore conquistò Angkor Wat e l’Impero Khmer, a sua volta però fu occupata e distrutta dai birmani. Dai cambogiani mutuò lo stile di molti dei suoi Templi, di cui oggi dopo il saccheggio da parte dei birmani rimangono solo alcune strutture principali. L’ingresso ai Templi è quasi sempre a pagamento ma il prezzo è economico. La visita è libera. Anche noi come tutti i turisti, ci facciamo fotografare con la testa di Budda avvolta da un reticolo di rami, statua diventata simbolo della città. Entriamo prima nel più recente Wat Phra Mongkhon Bophit per contemplare l’enorme statua dorata di Budda. Il Tempio è stato costruito con i contributi del Myanmar, l’antica Birmania, a tardiva riparazione dei saccheggi compiuti in passato. Il Tempio somiglia molto ai numerosi visti a Chiang Mai, con i policromi tetti a spiovente intersecati l’uno nell’altro. In lontananza vediamo degli elefanti con tanto di baldacchino riparato da ombrello che porta a passeggio i turisti. Riprese le biciclette attraversiamo un ponte, lasciamo l’isola e andiamo a vedere il Budda sdraiato, posto in una zona un po’ nascosta e vestito di una tunica gialla. Con un lungo trasferimento costeggiando uno dei tanti canali, arriviamo al bellissimo Wat Chai Wattanaram che ricorda il Bayon di Angkor per le numerose torri in stile Khmer.
Purtroppo per tornare alla stazione sbagliamo strada e così siamo costretti a fare il giro della città e solo dopo tante informazioni ed una faticosa pedalata sotto il sole torniamo alla Stazione dei Treni, riconsegniamo le biciclette, ritiriamo i bagagli dal deposito e prendiamo il primo treno per Bangkok. Per fortuna i treni sono frequenti e partiamo subito. Il treno su cui saliamo è paragonabile a un nostro regionale ma molto più fatiscente il che è tutto un dire. In pratica è un ammasso di ruggine su rotaie però rispetto ai nostri ha il vantaggio che viene passato lo straccio in terra e viene un tipo con un secchio pieno di ghiaccio e bibite in lattina. Arrivati alla Stazione di Bangkok rivolta a nord, prendiamo un taxi per l’Hotel che abbiamo prenotato dall’Italia. Ci impieghiamo un po’ di tempo per trovarlo a causa del traffico della capitale ma soprattutto perché il tassista non lo conosce e finisce per andare in tilt. A un certo punto si ferma per una ventina di minuti ad un semaforo senza andare oltre, sembra non saper che strada prendere, poi finalmente gli viene un lampo di genio, si fa per dire, e chiede a un collega che lo indirizza a uno degli Hotel più belli e lussuosi della città, il Lebua, che occupa una torre avveniristica vanto di Bangkok. Sapendo che la nostra è una sistemazione abbastanza economica non capiamo. Poi viene svelato l’arcano, effettivamente dormiremo in un appartamento della torre che il Lebua ha ceduto a privati che a loro volta subaffittano ai turisti. E così con grande meraviglia ci ritroviamo in un appartamento del tutto simile alle suite del Lebua, con tutti i confort relativi e una terrazza spalancata sulla città. Tra l’altro per salire al piano dell’appartamento usufruiamo della hall e dell’ascensore del Lebua. La sistemazione è eccezionale: un’ampia camera, un grosso televisore ai cristalli liquidi, il dvd, un bagno spazioso, doccia con acqua calda e una cucina pluriaccessoriata. Usciamo in città e scopriamo i primi inconvenienti del nostro alloggio, ci credono clienti del Lebua e procacciatori di clienti e autisti di tuk tuk ci assalgono con numerose offerte. Non è difficile capire che anche qui c’è la lobby dei tuk tuk. Comunque ne prendiamo uno per percorrere Silom Road fino alle due strade parallele su cui si svolge la movida notturna. Anche Silom Road però è movimentata e ospita un mercato di centinaia di bancarelle dove si vende di tutto: dall’ananas sbucciata, alla valigia, dagli insetti fritti alle protesi falliche. Vorrei soffermarmi su queste ultime vendute su un banco all’aperto come da noi si vendono i vestiti, la proprietaria seduta lì vicino ha la sua bambina in braccio di 2 o forse tre anni. Ceniamo in un ristorante italiano ubicato in una traversa di Silom Road. Facciamo una passeggiata nelle strade della movida tra venditori di cianfrusaglie, go go bar con ragazze avvenenti, discoteche e centri massaggi. E’ una Bangla Road molto ridotta. Da qui prendiamo un tuk tuk che ci riporta in Hotel per il pernotto.
Giovedì 30 gennaio 2014, Bangkok
Ci svegliamo nella nostra bella suite, questa volta dalla terrazza si gode di una panoramica giornaliera della capitale. La colazione non è compresa ma nei pressi della hall c’è uno Starbucks Caffè e ne approfittiamo per una colazione all’americana. Anche se questo è il nostro ultimo giorno in Thailandia, partiremo solo dopo mezzanotte per cui abbiamo prenotato la camera per poterla tenere fino a stasera. Questo ci consentirà di non portare dietro i bagagli e di poter fare una doccia prima del volo.
Nonostante il programma concordato prevedeva la visita al più grande centro commerciale del mondo, il MBK Center, facilmente raggiungibile con lo skytrain, uno dei miei compagni preferisce visitare il Palazzo Reale e così ci abbandona. Decido di andare da solo ma poi si aggiunge l’altro compagno di viaggio ma arrivati dentro all’immenso centro commerciale si fa prendere dal panico per la paura di perdersi e pertanto sono costretto, per non abbandonarlo, a fare rientro in albergo. Ovviamente l’uscita dal centro commerciale è stata semplice e così pure il ritorno in Hotel.
L’MBK Center è imperdibile per chi si reca a Bangkok. Sono molto convenienti anche i telefonini.
All’ora di pranzo con un taxi ci facciamo portare al ristorante della sera precedente ma anche qui subiamo un tentativo di truffa. All’ingresso del locale c’è una scritta con il piatto del giorno, la pasta alla carbonara, in offerta speciale. Io proprio una carbonara volevo mangiare e pertanto la ordino. Alla fine arriva il conto e mi dicono sia esagerato, controllo e noto che il mio piatto costa tre volte in più di quanto scritto nel menu. I miei compagni mi dicono di lasciar perdere ma io non ci sto e protesto ed a varie assurde giustificazioni del proprietario italiano riusciamo a farci applicare il prezzo in promozione. Il Ristorante si chiama “La Tana” ed è ubicato in una traversa di Silom Road, in una parallela delle due strade della movida notturna. I miei compagni decidono di ritornare in Hotel ma io mi trattengo ancora un po’ a passeggio per la Silom Road per poi prendere un Tuk Tuk per il ritorno in Hotel.
Considerato il traffico incontrato il giorno precedente decidiamo di partire con largo anticipo ed arriviamo in Aeroporto esageratamente in anticipo (6 ore). Facciamo il chek-in e attendiamo il volo.
venerdì 31 gennaio 2014, si parte
Attendiamo il volo che parte verso l’una di notte. Saliamo su un aereo Emirates per Dubai (Emirati Arabi Uniti) dove abbiamo stabilito, approfittando dell’attesa per il volo per Roma, di fare una brevissima visita panoramica della città.
Infatti il piano voli prevedeva la sosta per il cambio velivolo all’Aeroporto Internazionale di Dubai e dovendo attendere più di cinque ore per il volo successivo, insieme ad uno dei miei compagni di viaggio prendevamo un taxi per la città. Raggiungevamo il lungomare per vedere il grattacielo della “Vela”, uno dei simboli di Dubai. Dopo aver scattato delle foto passavamo con l’autostrada in prossimità della struttura che ospita la pista di sci. Ci fermavamo poi in quello che può essere definito il centro per vedere i grattacieli e soprattutto il Burj Khalifa. Tornavamo poi all’Aeroporto da dove, ricongiungendoci al nostro compagno di viaggio, prendevamo il volo per Roma. Siamo atterrati all’aeroporto di Venezia alle ore 13,45 per poi prendere il Frecciargento per Firenze delle ore 16,37 e poi un Intercity per Perugia dove arrivo alle ore 22,30.
Riflessioni
– La decisione di prenotare i voli Roma/Ho Chi Minh all’andata e Bangkok/Venezia al ritorno oltre a risparmiare un volo interno era anche un’offerta della Emirates per chi volava su Venezia
– Purtroppo per la ristrettezza dei giorni a disposizione dei miei compagni di viaggio sono mancati alcuni giorni al programma ed in particolare: uno ad Ho Chi Minh, uno a Phnom Penh ed un paio a Bangkok.
Suggerimenti
– a Bangkok non prendete i Tuk Tuk, sono dei truffatori, usate i Taxi ufficiali.
– una volta saliti vi obbligheranno a delle escursioni indesiderate, visite negozi, ecc.
– per recarvi all’MBK Center (imperdibile per gli amanti dello shopping) prendete lo Sky Train, Silom Line fermata National Stadium (o Siam, poco più distante)
Ultimo aggiornamento 25 Giugno 2024 da cipiaceviaggiare