di Irene Marcarelli
Con la capa un po’ acquosa ma orgogliosa per aver superato la notte ho iniziato a smontare la tenda con Patty e a sgonfiare il mio materassino alto 15 cm che ci avevo messo una vita a gonfiare per metà! Poi, senza colazione, ci siamo ficcati nella jeep alle 7 in direzione Serengeti. Twendi twendi.
Che strada ragazzi. Non si può chiamare sterrato. E nemmeno strada! Sballottati come fettine di mela in un frullatore ho avuta la nostalgia dei sampietrini sul motorino!!! E finalmente il parco, con un po’ di mal di testa iniziale, che ci guardavamo ingrugniti come per dire: “il primo che emette un solo suono va in pasto ai leoni!”. Parola d’ordine: SILENZIO! Ma bello. Bello bello bello il Serengeti.
Un paesaggio molto vario, alberi, radure, cespugli, rocce, colline e centinaia di zebre e bufali, gnu, famiglie di elefanti e tante giraffe di tutte le misure. Ad un certo punto abbiamo visto una leonessa zoppa con un cerchio di avvoltoi sulla testa (!!!!?) e poi un leone un po’ deboluccio, steso sotto un albero, che all’improvviso si è alzato e… perdindirindina, era zoppo pure lui!!!! Potenza dell’Africa nera e del re della foresta, che poi è una savana…
E più di mezzora appostati per vedere il leopardo… ma tra le foglie sull’albero dove il furbetto si nascondeva, non si intravedeva che una chiazza gialla e nera e qualche baffo dispettoso. Inutile sfidare la natura. Gli animali qui sono discreti, orgogliosi, dignitosi. Non vogliono essere disturbati pur tollerando la nostra presenza. Ma ci guardano con piglio interrogativo o con fiero cipiglio (come dice Snoopy) e ci fanno capire che quella è casa loro, che siamo ospiti, forse, o forse che ci siamo autoinvitati e questo non è molto educato. Un elefante allarga le enormi orecchie per proteggere il figlioletto ma poi capisce che non c’è pericolo e si rilassa, grattandosi il muso sul tronco di un albero. E le giraffe, così buffe e vanitose, che corrono tenendo le zampe dritte (teseche teseche si dice dalle mie parti, cioè tese, mai piegate) e poi le allargano per brucare… sì, credo siano i miei animaletti preferiti, col manto a chiazze gialle o marroni, e quella faccia un po’ stralunata forse colpa della testa fra le nuvole….. E la pelle bruciava sotto quel sole nero.
Il nostro camp per quella sera era a Seronera. Ci siamo arrivati alla luce rossa di un tramonto imponente e ci siamo lanciati al gonfiaggio di materassini e al picchettaggio delle tende. Intanto guardavamo le docce autarchiche, dice Paoletta, col “negro” incorporato che versa l’acqua in una specie di grande preservativo di caucciù con il rubinetto alla base.
Il tutto in un camerino di tenda in tela. Fantastico!
Io però ho rinunciato a servirmene. Ero troppo sconvolta. E poi il tramonto ha lasciato il posto ad un buio stellato che mai avrei immaginato. Troppe e davvero vicine quelle lucine la cui luminosità non era inquinata che da lampi in lontananza, che hanno aggiunto il brivido alla già intensissima sensazione di sconfinatezza che mi dominava. Le stelle mi si rovesciavano addosso e mi sentivo leggera, libera.
Il falò che con soddisfazione abbiamo messo su ci ha dato sicurezza; ha spento le stelle ed ha acceso la dimensione umana della realtà e del calore. Karim ha detto che avrebbe pagato 25 mucche per me. Sono rimasta un attimo interdetta ma in seguito ho saputo che ne basterebbero 2 per “comprare” una moglie. Carino no?
Tra viaggiatori succede, ci si raccontano cose anche intime, tanto non ci si rivedrà mai più.
Il paesaggio che scorre lateralmente offre loro un nastro su cui incidere le loro voci narranti, e lo spazio crea la necessaria cassa di risonanza, un sito dove chiudersi filtrando solo ciò che interessa della realtà.
Un sorso di grappa più del dovuto ha fatto il suo e sono crollata in un sonno profondo sul mio bellissimo materassino verde vellutato.
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