Stati Uniti 2008


diario di viaggio dal 3 al 26 maggio di Primo

Itinerario: East coast: New York – Niagara Falls – Dutch County – Washington
West coast: Los Angeles – Las Vegas – Grand Canyon – Lake Powel – Antelope Canyon – Monument Valley – Canyoland’s – Arches – Bryce Canyon – Las Vegas – Death Valley – Yosemite – Mariposa Grove – San Francisco

Io (Primo) e mia moglie (Renza), in compagnia di altri due amici, abbiamo iniziato il nostro Tour negli U.S.A. dopo un lungo periodo di preparazione (guide Lonely Planet, Mondadori e soprattutto ho seguito i consigli dei viaggi fatti dagli altri e pubblicati su internet).
L’idea era maturata subito dopo un viaggio fatto assieme ad un gruppo di amici poi, rinunce su rinunce, siamo rimasti in quattro.
Abbiamo scelto il seguente itinerario per la east coast:
New York/Niagara Falls/Dutch Caunty/Washington
Il seguente per la West coast: Los Angeles/Las Vegas/Gran Canyon/Lake Powel/Antelope Canyon/Monument Valley/ Canyoland’s/ Arches/ Bryce Canyon/ Las Vegas/Death Valley/Yosemite/Mariposa Grove/San Francisco
Ci siamo rivolti ad un’agenzia per prenotare i seguenti voli di andata: giorno 3 maggio 2008: Roma/Londra – Londra/New York. Giorno 10 maggio 2008: Washington/Los Angeles; ed i seguenti voli di ritorno: giorno 26 maggio 2008: San Francisco/Londra e Londra /Roma – spesa complessiva pro-capite €.850,00 (un po’ troppo, mia figlia per voli simili ha speso €.650,00)
Abbiamo prenotato le autovetture direttamente su Internet, sul sito della Maggiore che rappresenta in Italia l’Alamo e la National.
Per la East coast abbiamo noleggiato una berlina a New York il giorno 6 maggio 2008 e lasciata a Washington il giorno 10 maggio 2008 ed abbiamo speso con tutte le assicurazioni possibili  compreso il costo per lasciare l’autovettura in stato diverso da quello noleggiato e due guidatori aggiuntivi: $ 642,00
Per la West coast abbiamo preso un SUV a Los Angeles il giorno 10 maggio 2008 e lasciato a San Francisco il giorno 24 maggio 2008, anche qui tutte le assicurazioni aggiuntivi possibili (non si paga in California né i guidatori aggiuntivi né lasciare l’autovettura in luogo diverso da quello dove si è ritirata): $ 960,00
Abbiamo prenotato l’albergo di New York, quello di Niagara Falls, quello di Washington e quello degli ultimi tre giorni di San Francisco. Il resto lo abbiamo fatto giorno per giorno, soprattutto abbiamo soggiornato nei Motel.
Abbiamo percorso circa 7.000 Km ed abbiamo speso per la benzina $ 723,00.

Sabato 3 maggio 2008 – ARRIVO A NEW YORK
Ci accompagna a Fiumicino nostro figlio, il nostro aereo per Londra/Heathrow parte alle 13,35, atterriamo alle 15,20 e ci dirigiamo al terminal 5 per prendere il nostro volo per New York previsto per le ore 17,00 con arrivo al Kennedy alle ore 19,35. Poiché durante il chek-in a Roma ci avevano detto (o così abbiamo capito) che a Londra non dovevamo fare un altro chek-in. Al momento dell’imbarco non ci hanno fatto salire sull’aereo per omesso chek- in per il volo Londra New York. Inoltre sull’aereo non c’era più posto perché i nostri li avevano venduti. Per le nostre vibrate (molto vibrate) proteste abbiamo messo in allarme il personale della British i quali ci hanno indirizzato presso i loro uffici in aeroporto. Li sono stati molto cortesi e ci hanno imbarcato sul volo delle ore 18,30. Un Boeing nuovissimo e quasi completamente vuoto.
Giunti all’aeroporto di New York in tarda serata, prendevamo un taxi per raggiungere l’hotel Manhattan Club in pieno centro (costo 50 $). Nonostante la prenotazione dall’Italia siamo stati dirottati su altro hotel per fortuna migliore e in zona più prestigiosa, proprio di fronte al Central Park: il Park Line Hotel. La”Grande mela” ci ha accolto con la pioggia e siamo pure senza valige perché per un disguido sono rimaste a Londra. Per il disagio creato la British Airway ci ha fornito una speciale carta di credito con cui abbiamo potuto prelevare 50 dollari a testa a uno sportello automatico dell’aeroporto.

domenica 4 maggio 2008 . SECONDO GIORNO A NEW YORK
Il mattino seguente al nostro risveglio nell’elegante camera dell’hotel abbiamo sbirciato la città dalla finestra osservando che purtroppo stava piovendo. Siamo senza valige, rimaste per un disguido a Londra, dovrebbero arrivare in serata al Manhattan Club dove dormiremo da stasera come da prenotazione e per questo andiamo a depositarvi i nostri bagagli a mano. Dopo la colazione all’americana in un locale vicino all’hotel, armati degli ombrelli che ci ha regalato il Park Line, iniziamo la visita alla città. Lo facciamo usufruendo dei bus turistici della “Gray Line”, il biglietto valido 48 ore ci consentirà di salire e scendere a piacimento ma non abbiamo considerato che durante il percorso le loro guide continueranno ad assillarci con spiegazioni per noi, che non conosciamo l’inglese, incomprensibili. Saliamo sul bus nei pressi di Time Square, centro nevralgico della vita newyorkese pieno di insegne colorate ed enormi monitor video che ricoprono interamente le superfici dei palazzi trasmettendo curiosa pubblicità di questo o quel prodotto. L’effetto è molto bello anche se un po’ troppo chic, la luce è talmente intensa che il tutto è ottimamente visibile pure di giorno. Passata la piazza, che in realtà è una strada molto ampia, proseguiamo tra altissimi grattaceli, dobbiamo alzare il capo e lanciare lo sguardo verso il cielo per vederne i vertici. Transitiamo di fronte ai grandi magazzini Macy’s e al Madison Square Garden, vediamo in lontananza le transenne di Ground Zero, osserviamo la rete di recinzione dove si depongono disegni e foto a ricordo delle vittime della strage terroristica dell’11 Settembre e poco distante il toro bronzeo presso Wall Street. Scendiamo a Battery Park da dove dopo un po’ di coda ci imbarchiamo sul traghetto per l’isoletta che ospita la Statua della Libertà. La grande statua donata dai francesi al popolo americano non è più visitabile dall’11 Settembre 2001 così preferiamo gustarcela dall’attracco dove il traghetto si ferma, quindi proseguiamo per Ellis Island dove scendiamo per la visita del Museo dell’immigrazione. In questa vecchia costruzione in mattoni rossi hanno transitato migliaia di emigrati provenienti soprattutto dall’Europa tanto che si può dire che la maggior parte degli abitanti degli States hanno radici su quest’isola. Qui gli emigrati venivano tenuti in quarantena prima di ricevere il permesso per entrare nel Paese e qualcuno veniva pure respinto. Nelle grandi stanze riecheggiano simbolicamente le voci degli emigrati, sulle mura sono appese le loro foto, nelle teche sono esposti i loro poveri oggetti personali. Riprendiamo il traghetto e torniamo a Battery Park da dove con una breve passeggiata raggiungiamo la statua bronzea del toro vista precedentemente dal bus. Siamo a Wall Street per cui decidiamo di percorrere l’omonima strada osservando gli edifici neoclassici che ospitano le più importanti istituzioni economiche del mondo come lo Stock Exchange e la Bank of America. Davanti ad uno di questi la statua di George Washington ricorda il luogo in cui egli fu eletto primo Presidente degli Stati Uniti. In fondo la strada dà accesso al vecchio porto dove sono ancorati alcuni antichi velieri ma soprattutto dove la vista spazia sul celebre ponte di Brooklyn. Ripercorriamo Wall Street a ritroso fino alla piccola Chiesa anglicana di Trinity il cui campanile gugliato era un tempo l’edificio più alto di New York, ora è soffocato dai grattaceli circostanti ed appare piccolissimo. Rimane comunque un oasi di pace e spiritualità, il sobrio edificio dai colori ocra è circondato da un vecchio cimitero con semplici tombe di pietra, il portale presenta la copia dei bassorilievi della porta del Paradiso di Ghiberti del Battistero di Firenze. A pochi passi dalla Chiesa la grande voragine creata dal crollo delle “Torri gemelle” è transennata per i lavori di ripristino dell’area ma da alcune fessure è possibile osservarne la vastità e comprenderne la tragedia. Riprendiamo il bus per raggiungere il porto vecchio dove cambiamo linea per dare un’occhiata oltre il ponte, nel quartiere di Brooklyn. Il bus non attraversa il Brooklyn Bridge ma quello parallelo poi fa un giro panoramico piuttosto lungo e noioso nel quartiere costeggiando parchi, palazzi e qualche monumento neoclassico. Qui le costruzioni non sono così alte come a Manhattan, è più facile trovare palazzi con le celebri scale antincendio in ferro viste in tanti film. Ci fa piacere tornare al vecchio porto per riprendere la linea principale del bus Gray Line per un giro panoramico di Manhattan. Il bus costeggia il mare poi, all’altezza del “Palazzo di vetro” sede dell’Onu, devia passando di fronte al Rockfeller Center quindi si imbottiglia nel traffico del centro dove lentamente passa di fronte al Central Park e termina il suo giro vicino a Time Square. Da qui con altro bus fino all’Empire State Building, sta calando la sera e c’è una lunga coda di gente che vuol vedere il tramonto dall’alto dell’osservatorio. Saliamo con due ascensori velocissimi che ci portano fino al celebre osservatorio (381 m.). E’ calato il buio New York si offre ai nostri occhi con le sue miriadi di luci, i grattaceli circostanti che da giù apparivano altissimi ora sono sotto di noi, lo sguardo spazia sulla guglia illuminata del Crysler Palace, sulla curiosa sagoma del palazzo denominato “Ferro da stiro” e sulla lontana Statua della Libertà. Scesi dall’Empire raggiungiamo a piedi il nostro hotel dove apprendiamo con piacere che i nostri bagagli sono arrivati. Prendiamo possesso della camera in cui dormiremo poi andiamo a cena in una pizzeria self service della zona. La giornata è stata lunga, per fortuna la pioggia ci ha infastidito solo la mattina, torniamo in albergo stanchi per dormire.

lunedì 5 maggio 2008 . TERZO GIORNO NEW YORK
Il giorno seguente ci alziamo di buon ora, facciamo colazione all’americana nello stesso locale vicino all’hotel poi rientriamo in albergo. Dobbiamo aspettare che arrivi mia figlia Francesca che, con il suo fidanzato, sono da due settimane negli States e dopo aver fatto la Route 66 si fermeranno qualche giorno a New York prima del rientro in Italia. Arrivati, stiamo un po’ con loro poi le consentiamo  di prendere possesso della camera d’albergo in quanto stanchissimi dal trasferimento da San Francisco dandoci appuntamento per la sera. Noi andiamo al Rockfeller Center, molto più famoso che interessante, un centro commerciale piuttosto cupo all’interno, molto più vivace all’esterno con fontane e statue dorate. A due passi da qui visitiamo la Cattedrale Cattolica di San Patrizio in stile neogotico, poi saliamo sul bus della Gray Line fino al Central Park. Visitare il parco è molto interessante perché pur essendo al centro di uno degli agglomerati urbani più grande del mondo dà la sensazione di essere in un bosco. L’area è molto estesa e ti rendi conto di essere in città solo alzando gli occhi al cielo verso i grattaceli che lo contornano. All’interno ci sono laghetti, piste di pattinaggio, campi da baseball, casine tirolesi, giostre. Uscendo dal Central Park aspettiamo inutilmente il bus per il Bronx, optiamo allora per un taxi che con un breve tragitto ci riporta di fronte all’ingresso del parco da dove potremmo riprendere la linea principale della Gray Line. Prendiamo il bus che passa per Time Square e scendiamo a Macy’s, il grande magazzino. Ripreso il bus scendiamo alla fermata più vicina a Little Italy. Passeggiamo nella strada principale del quartiere italiano su cui si affacciano numerosi ristoranti gestiti soprattutto da meridionali.
Proseguiamo a piedi per l’adiacente China Town, il quartiere cinese è vasto, occupa diversi isolati, è pieno di negozi che vendono strani alimenti ed inutili cianfrusaglie, la merce è esposta disordinatamente anche sulla strada. Le pescherie emanano nell’aria odori forti ma per noi niente di quello che viene venduto risulta invitante. Raggiungiamo la fermata del bus e torniamo in centro passando di fronte al “Palazzo di vetro” sede dell’Onu e al Rockfeller Center. Abbiamo compiuto anche oggi, come ieri, l’intero giro offerto da questi bus, è stato interessante attraversare strade su cui si affacciano gli alti grattaceli cercando anche di porre attenzione ai particolari, le strane piattaforme con cui si puliscono i vetri che salgono così in alto da apparire minuscole, le scale antincendio, il fumo che esce copioso dalle tubature sottostrada. Anche se non ci sei mai stato New York ti sembra familiare perché l’hai vista decine di volte nei film o nelle cronache dei telegiornali. La città non è bella nel senso europeo dell’estetica ma è bella nel senso innovativo del termine, perché è sperimentale di nuove tecnologie costruttive, perché è unica nel suo genere, perché è il prototipo di decine di altre città. Verso sera facciamo una passeggiata sulla Quinta strada, la via dei negozi alla moda e dei grandi alberghi come il Plaza che fa bella mostra di se davanti al Central Park. E’ sera e ci incontriamo con mia figlia e con il suo fidanzato, insieme ceniamo nella pizzeria dove avevamo mangiato il giorno prima non perché siamo abitudinari ma perché è il modo migliore per non rischiare di ordinare cose che non ci piacciono. Dopo cena passeggiamo fino alla vicina Time Square che si mostra in tutta la sua brillantezza, le luci delle insegne dei teatri di Brodway e i pixel degli enormi monitor pubblicitari sono risaltati dalla notte. Torniamo in hotel per il pernotto dopo aver salutato nostra figlia ed il suo fidanzato.

martedì 6 maggio 2008 . QUARTO GIORNO – Niagara Falls
Stamani lasceremo la “Grande mela”, ci facciamo portare dal taxi all’autonoleggio prenotato dall’Italia (vicinissimo al nostro Hotel). Ci forniscono una macchina americana in tutti i sensi: Una Chevrolet impala, cambio automatico e tanti altri accessori, chissà però perché manca di tergicristallo posteriore!!
Inizio a guidare io anche se non ho mai guidato un macchina con il cambio automatico, niente di più semplice, basta retrocedere la gamba sinistra in modo da non poterla utilizzare. Ovviamente non manca un navigatore satellitare che inizialmente non riusciamo a far funzionare forse perché disturbato dall’altezza dei grattaceli. Riusciamo comunque a prendere la strada per lo Stato del New Jersey e da qui attraversare un tratto di Pennsylvania per poi rientrare nello Stato di New York che percorriamo fino a Niagara Falls. La strada per Niagara Falls è piuttosto monotona, si sviluppa in campagna e durante il percorso non si passano centri abitati. Entrati nella cittadina sbagliamo strada e anziché andare direttamente alle cascate dal lato americano ci ritroviamo sul Raimbow Bridge da cui non è possibile tornare indietro. Costretti ad attraversarlo ci ritroviamo in Canada. Ci gustiamo le cascate in tutta la loro maestosità. Bellissime (meglio che dal lato USA), ci godiamo pure lo spettacolo notturno delle cascate che non è altro che dei proiettori potentissimi che illuminano le cascate di vari colori.  A tarda sera, dopo aver mangiato una bella bistecca, rientriamo negli Stati Uniti sempre dal Raimbow Bridge e prendiamo alloggio nel semplice e poco pulito Boston hotel.

mercoledì 7 maggio 2008 . QUINTO GIORNO – Niagara Falls – Lancaster.
Ci svegliamo con una bella giornata di sole, l’ideale per vedere le cascate dalla parte statunitense. Dopo la colazione al Donut a base di muffin andiamo nel parco delle cascate dove, a differenza del lato canadese, si paga per entrare. Mia moglie decide di non prendere la barca che porta fin sotto le cascate, io vado ma la vaporizzazione è così forte che nonostante ci abbiano fornito un impermeabile con cappuccio è inevitabile bagnarsi e vedere poco o niente. Le cascate sono davvero belle e meritano questa lunga deviazione per arrivarci. La barca affollatissima ci riporta all’imbarcadero e da qui con un ascensore risaliamo dal letto del fiume fin sulla torre da cui si gode di un bel panorama e da qui nel parco dove abbiamo parcheggiato la macchina.
Proseguiamo verso sud dove lasciamo definitivamente lo Stato di New York per la Pennsylvania.
Il tratto della Pennsylvania di questo lungo trasferimento è piuttosto monotono, la larga autostrada interstatale è molto agevole, più corsie e poco traffico molto corretto. Tutti in U.S.A. rispettano i limiti di velocità imposti per cui impostiamo l’andatura della macchina e puntiamo verso sud  e dopo un lungo trasferimento giungiamo a Lancaster che sta calando la sera. Troviamo alloggio in un motel e ceniamo in una tavola calda gestita da un italoamericano con genitori originari del napoletano. In questo Paese di catene in franchising è raro trovare qualcuno che trovi il coraggio di aprire un azienda senza l’avallo di un grande nome come Starbucks, Subway, Donut, McDonald, Danny ecc.

Giovedì 8 maggio 2008 . SESTO GIORNO – Dutch Caunty – Strasbourg- Bird in Hand – Washington.
Dopo il pernotto nel motel al mattino andiamo nella vicina Dutch County, il nome significherebbe contea olandese ma in effetti questa è la regione abitata dagli Amish che di origine sono tedesca. Gli Amish sono giunti nel ‘700 in America perché perseguitati in Europa in quanto la loro fede gli impediva di usufruire di tutto ciò che poteva permettere il miglioramento terreno della loro esistenza. Per questo anche oggi vivono come nel ‘700 rifiutando ogni forma di modernità, l’unico aiuto sono i cavalli con cui arano i campi con un rudimentale aratro e che trainano le loro piccole carrozze nere. Niente macchine, niente televisione ne telefono. Questo popolo vive in case di legno poste sulle strade secondarie di piccoli villaggi, le loro dimore si riconoscono per la pompa a mano per l’acqua e per le lunghe fila di vestiti stesi, tutti uguali. Gli uomini portano un cappello di paglia in testa, camicia, bretelle e spesso hanno barbe lunghe, le donne si vestono con gonne lunghe e cuffietta in testa. Il nostro primo contatto con la Terra degli Amish è a Strasbourg, visitiamo un grande negozio dove sono esposti i loro lavori artigianali come sculture in legno, tessuti e ricami (Renza acquista i cuscini per la cucina originari della vicina Patchwork). Strasbourg è anche sede di una vecchia stazione ferroviaria ben tenuta dove stazionano antichi treni a vapore che partono ogni giorno per un breve tragitto. Il sistema ferroviario negli Stati Uniti non è molto diffuso ma questi vecchi treni ricordano l’epopea americana e gli albori di questo Paese. A Strasbourg ci sono pure negozi specializzati sui trenini elettrici in cui entriamo per sbaglio. Cercando gli Amish scopriamo la campagna della Pennsylvania girovagando tra lindi paesini come Paradise e Bird in Hand. I campi sono ben curati, le case di legno hanno piccoli giardini rasati costantemente e privi di recinzione, la porta di ingresso dà su terrazzini porticati, quelle che si vedono nei film dove vecchie signore si rilassano sedute su sedie a dondolo. E’ l’immagine classica della campagna americana ed ora la stiamo vivendo in prima persona attraversando queste strade secondarie che non sono meta per tutti ma solo per coloro che degli States vogliono assaporare anche questa atmosfera rurale da “Nonna Papera” e “Cip Ciop”. E poi ci sono gli Amish con le loro carrozzelle e il rifiuto della modernità che mi ricordano le immagini del film “Witness” con Harrison Ford girato proprio qui. Passando da Intercourse troviamo un centro commerciale vecchio stile con caratteristici negozi di artigianato, abbigliamento e alimentari, dove mia moglie per l’imbarazzo della scelta riesce a non comperare nulla. Alcuni bambini Amish giocano con un triciclo di legno, tentiamo di fotografarli ma scappano. Lasciamo soddisfatti la Pennsylvania, i suoi campi coltivati, le casine con i silos ed entriamo in Maryland per raggiungere poi il District of Columbia e Washington.

Giunti a Washington dalla Pennsylvania passando per il Maryland.
Il District of Columbia è praticamente Washington mentre Washington non è solo il District of Columbia, infatti la Capitale degli Stati Uniti d’America si è ingrandita a tal punto da occupare anche la vicina Virginia dove si trovano importanti istituzioni nazionali come il Pentagono e il cimitero militare di Arlington. A separare il District of Columbia dalla Virginia c’è il fiume Potomac attraversato da grandi modernissime autostrade a 5 corsie che come quasi ovunque in U.S.A. sono gratuite. La parte monumentale della Capitale si sviluppa ovviamente nell’originario nucleo, quello creato dal nulla su indicazione del primo Presidente George Washington all’indomani della rivoluzione antibritannica che permise la nascita degli States. Arriviamo nel primo pomeriggio ci rifocilliamo in un “Donut” alla periferia della città poi cerchiamo inutilmente di raggiungere Mount Vernon in Virginia, il traffico è agevole ma il nostro navigatore satellitare va in tilt a causa delle numerose gallerie così rinunciamo e rientriamo in città. Siamo arrivati con un giorno di anticipo sulla prenotazione dell’hotel fatta in Italia per cui dovremmo trovare un’altra sistemazione ma intanto siamo in centro, parcheggiamo e iniziamo la visita. Raggiungendo il centro abbiamo visto dalla strada la possente mole del Pentagono, abbiamo sfiorato la recinzione del cimitero di Arlington e siamo passati nei pressi del Jefferson Memorial. A piedi andiamo verso il Campidoglio e scattiamo qualche foto davanti alla grande scalinata voltando le spalle all’enorme cupola. Davanti a noi si apre un largo e lungo viale diviso in due da un prato dove si affacciano gli edifici più significativi della Capitale. Percorriamo il viale fino al Washington Monument, l’alto obelisco visibile da molte parti della città, passando di fronte ai musei che ci ripromettiamo di visitare domani. Sbirciamo comunque dalle vetrate del Museo dello Spazio e dell’Aria che sembra davvero promettente. Dal Washington Monument osserviamo il Lincoln Memorial, edicola neoclassica con colonnato ma siamo troppo stanchi per raggiungerlo, preferiamo deviare verso la Casa Bianca per fare qualche foto davanti alla più famosa dimora del mondo. Mentre cerchiamo di arrivarci vediamo sfilare una lunga colonna di macchine blu con sirena spiegata, probabilmente è il Presidente che sta uscendo di casa. Facciamo le foto di rito sui lati principali dell’edificio, quello dove si trova la sala ovale e quello dell’ingresso. Osserviamo come il luogo dove vive l’uomo più potente del mondo sia in realtà una casa neoclassica neanche tanto grande come ce ne sono tante, molto più piccola e meno ambiziosa di altre dimore signorili. Tra l’altro si può sostare tranquillamente davanti al cancello di ingresso che apparentemente non sembra neanche ipersorvegliato. Torniamo in taxi alla nostra vettura osservando come Washington sia una città sobria, ordinata, pulita, sistematica ma tutto questo è comprensibile visto che è stata creata a tavolino dal nulla su terreni ceduti da Maryland e Virginia. Purtroppo questa città burocratica e direzionale non è una città viva, almeno per quello che abbiamo visto pare in un eterno letargo, in forte contrasto con molti centri nevralgici degli Stati Uniti come New York o Las Vegas. Mi rendo conto che non esiste un solo Paese ma ce ne sono tanti ma è invitabile in una Nazione grande come un Continente dove le distanze sono enormi, dove i centri a volte sono separati da ampie zone disabitate indipendentemente che si tratti di un arido deserto, di una prateria o di una florida campagna. L’unico comune denominatore di questo grande Paese è il senso patrio che ogni americano custodisce dentro, lo esterna esponendo la bandiera a stelle e strisce sulla propria casa e questo patriottismo Washington lo identifica bene con i suoi monumenti.
Ripresa la nostra macchina riattraversiamo uno dei numerosi ponti sul Potomac e rientriamo in Virginia dove nei dintorni di Alexandria prima ceniamo in un McDonald poi dormiamo in un Motel.

Venerdì 9 maggio 2008 . SETTIMO GIORNO – Washington – Mount Vernon
Al mattino seguente finalmente raggiungiamo Mount Vernon attraversando un area a foresta che costeggia il corso del fiume Potomac. Qui entravamo nella tenuta dove visse con la sua famiglia il primo Presidente degli Stati uniti d’america, George Washington, il padre della Patria. Per questo nonostante la giornata uggiosa la coda delle scolaresche che attendevano di entrare era piuttosto cospicua. Riusciti ad entrare iniziavamo la nostra visita introdotta dalla visione in una grande sala cinematografica di un film sulla storia di questo eroe americano, nato ufficiale inglese e morto Presidente americano. Dopo la visione del film visitavamo i giardini, la cucina, gli annessi agricoli mentre evitavamo di fare una lunghissima coda per l’ingresso nella casa che sbirciavamo comunque all’interno dalle finestre sul retro. Scendendo verso la riva del fiume Potomac si incontra la sobria tomba di George Washington e di sua moglie ma anche quella di uno dei tanti schiavi a cui il Presidente concesse la libertà. Sulla riva del fiume l’imbarcadero e poco oltre la piantagione piuttosto scarna nonostante che due persone vestite come all’epoca di Washington tentino di ravvivarla rasando una pecora. Tornando verso la casa si incontrano il granaio e l’aia con un po’ di pollame.
Prima di uscire diamo un’occhiata ad alcuni ambienti ricostruiti come la stanza del sovrintendente e il dormitorio degli schiavi. All’uscita c’è un museo con cimeli di Washington e famiglia (il tutto ad uso turistico e patriottico).
Lasciamo Mount Vernon e attraversando la foresta torniamo nel District of Columbia.
Torniamo nel District of Columbia solo nella tarda mattinata, prendiamo possesso dell’hotel prenotato dall’Italia davvero bello e centrale (adiacente al Campidoglio). Dopo aver mangiato in un fast-food torniamo sul lungo viale monumentale per vedere i due musei a nostro avviso più interessanti. Il famoso Museo dello Spazio e dell’Aria, il più importante di questo genere al mondo, espone navette spaziali, stazioni orbitanti, satelliti, moduli lunari, tute e caschi da astronauta. Sono reperti che fanno parte della storia dell’astronautica come il modulo dell’Apollo 11 o la navicella che portò il primo uomo nello spazio. L’altra parte del Museo è dedicata all’aviazione, da Icaro ai disegni di Leonardo, dai voli sperimentali dei fratelli Wrayt ai moderni aerei. Durante la visita è possibile salire su alcuni mezzi sia aerei che spaziali e osservare storici aerei come quelli della seconda guerra mondiale e lo “Spirit of St.Luis con cui Limberg per primo attraversò l’Atlantico.
Usciti da qui, attraversato il largo viale, raggiungiamo il Museo di Storia Naturale per visitare il settore dedicato ai dinosauri. Qui è possibile vedere gli scheletri di numerosi animali preistorici sia terrestri che marini che aerei, strutture ossee spesso gigantesche che danno il senso di come dovevano essere enormi queste bestie. In alcune teche sono esposti fossili di conchiglie, insetti e impronte trovati in varie parti degli Stati Uniti mentre attraverso un vetro è possibile osservare un archeologa intenta nel lavoro di ripulitura delle ossa dei dinosauri. Non visitiamo il resto del Museo anche se prima di uscire prestiamo attenzione ad alcuni tronchi d’albero pietrificati e ad una delle famose statue dell’isola di Pasqua. Vorremmo andare anche al Museo di Storia Americana ma è chiuso per risistemazione e così visto che abbiamo accumulato in questi giorni molta stanchezza andiamo in taxi in hotel per riposarci. La sera usciamo per cena non molto lontano dal nostro alloggio mangiamo una pizza e rientriamo per dormire.

Sabato 10 maggio 2008 . OTTAVO GIORNO – Los Angeles – HOLLYWOOD e BEVERLY HILLS
Ci svegliamo dopo poche ore perché di prima mattina dobbiamo lasciare Washington e il District of Columbia per la Virginia, prenderemo all’aeroporto Dulles l’aereo American Airlines direzione Los Angeles. Arriviamo con la nostra auto nei pressi dell’Aeroporto, nel parcheggio della National dove lasciamo la macchina e ci fanno pagare caro il mezzo serbatoio di benzina che non abbiamo fatto in tempo a riempire. Avevamo optato per la restituzione con il pieno. Un bus navetta della National ci ha condotti all’Aeroporto Dulles.

All’aeroporto di Los Angeles dove siamo sbarcati siamo saliti su di un bus-navetta della Compagnia National che ci ha condotto all’autonoleggio dove avevamo prenotato la macchina dall’Italia. Da qui prendevamo un suv ben accessoriato. Se è vero che per la particolarità delle strade a più corsie e poco trafficate risulta molto utile sia il cambio automatico che l’impostazione costante della velocità abbiamo ritenuto invece sconsigliabile utilizzare il telefono di bordo, chissà quanto ci sarebbe costato!! Ci siamo lasciati alle spalle i giorni trascorsi sulla parte orientale del Paese baipassando in aereo le grandi monotone praterie e ci ritroviamo in un ambiente diverso, certamente più latino, meno ordinato. Anche i colori del cielo e la vegetazione sono diversi e con la nostra macchina stiamo entrando in una delle città più estese del mondo, Los Angeles. Il centro della città che negli States si chiama downtown, ma non vedo come potrebbe chiamarsi centro storico visto che sono tutti modernissimi grattaceli, lo vediamo dall’autostrada avvolto dalla foschia. I grattaceli li abbiamo visti a New York e quelli non hanno uguali negli U.S.A., quindi puntiamo direttamente su Hollywood. Los Angeles non è una città nel senso europeo del termine ma sono tante città messe insieme collegate da ampie autostrade e tra queste Hollywood è una delle più celebri. Il navigatore satellitare della macchina ci conduce subito ad un motel da cui dopo aver preso possesso delle camere comodamente raggiungiamo The Walk of Fame. Sarà pure una visita dozzinale ma è inevitabile venire qui e farsi una passeggiata in questo viale dove sui marciapiedi sono intarsiate le stelle con il nome dei personaggi più noti del cinema americano. Sul viale si affacciano il moderno centro commerciale che ospita il Teatro della notte degli Oscar e dove parcheggiamo nel vasto garage. Vi sono numerosi teatri e tra questi il più celebre è senz’altro il Teatro Cinese che davanti all’ingresso che ricorda una pagoda presenta le celebri orme di mani e piedi delle più importanti star di Hollywood fin dal tempo del bianco e nero. Sul viale che di fatto è una parte di Hollywood Boulevard si trovano negozi di souvenir, musei delle cere e molti artisti di strada, c’è chi fa la break-dance e chi imita personaggi cinematografici come Marylin Monroe. Lasciamo questa zona piena di turisti per Sunset Boulevard, il viale dall’andamento irregolare era un tempo la sede dei teatri di posa delle case cinematografiche, poi quando queste si ingrandirono furono costrette a trasferirsi e divenne la strada dei locali frequentati dalle star hollywoodiane, poi subì un lento degrado infine è stata recentemente rivalorizzata. Ora ci sono molti locali per tutti i gusti, da quello di proprietà di uno dei Blue’s Brothers, molto gettonato e ubicato in una capanna di lamiera, al lussuoso ristorante. Noi optiamo per cenare in un locale di legno stile western con cameriere (bellissime) col cappello da cowboy un’ottima bistecca servita con patata al cartoccio e burro. Sarà uno dei nostri migliori pasti americani, una delle poche volte in cui la pietanza non è stata sciupata da assurde salsine!! Dopo cena facciamo una passeggiata a Beverly Hills tra negozi lussuosissimi, siamo i soli fruitori di Rodeo Drive perché a quest’ora le attività sono chiuse e la zona è deserta. Dall’architettura degli stabili, la cura dei giardini, la pulizia e la presenza delle maggiori firme dell’alta moda si capisce che questa è la strada vip di Los Angeles. Abbiamo avuto un intensa giornata fatta di camminate in città e 4000 km di volo, raggiungiamo il motel per dormire.

Domenica 11 maggio – NONO GIORNO – Los Angeles
Il mattino dopo ci alziamo di buon ora, ieri sera abbiamo preso una multa per il prolungamento del parcheggio dopo la fine dell’orario del parchimetro e la paghiamo subito in un Western Union!! Andiamo poi sulla collina che ospita gli Universal Studios ovvero i teatri di posa della nota casa cinematografica affiancati da un parco a tema stile Disney. Non si può andare negli States senza vedere almeno un grande parco dei divertimenti e Los Angeles ne offre un paio ma evitiamo Disneyland perché pur essendo il primo della catena è anche il più piccolo e troppo simile a EuroDisney. Gli Universal Studios californiani inoltre sono almeno in parte, a differenza di quelli di Orlando in Florida, dei veri studi cinematografici. Mentre sto scrivendo questo racconto probabilmente molti di questi studi sono andati distrutti da un incendio avvenuto pochi giorni dopo la nostra visita.  L’ingresso al Parco vero e proprio è preceduto da una lunga fila di stravaganti negozi di oggettistica e alimenti che presentano facciate molto particolari e coloratissime. Entrati nel Parco saliamo subito sul trenino  pneumatico che ci porta a fare il giro dei teatri di posa. Il mezzo percorre una strada che prima discende poi risale la collina sfiorando i capannoni industriali che ospitano le produzioni cinematografiche e televisive. In alcuni di questi hangar entriamo per assistere ed essere partecipi di ricostruzioni come un terremoto e l’assalto di King Kong. All’esterno vediamo alcuni importanti set: il motel del film “Psyco”, la devastante scena di un aereo precipitato di “The war of the world” di Spielberg, il Municipio di “Ritorno al futuro”, il porto di “Lo squalo”. In poche centinaia di metri si passa dalla ricostruzione di un quartiere di New York, a un paese di provincia italiano con tanto di stazione dei Carabinieri, da un viale parigino a un alluvione in un villaggio del Messico. Al termine del tour in trenino affrontiamo la visita alle attrazioni del Parco iniziando da Shrek 4D, un filmato in cui non solo il cartone animato sembra uscire dallo schermo ma le sedie vibrano, si sente il soffio del vento e ti arrivano in faccia gli sputi dei protagonisti, in pratica il film è tridimensionale mentre la quarta dimensione è quella sensoriale. In Jurassic Park-The Ride, che si raggiunge scendendo dal colle con una lunga scala mobile, si sale su una grande canoa che dopo aver girovagato tra dinosauri animati precipita a capofitto in uno specchio d’acqua. Terminator 2:3D presenta un film tridimensionale in cui i personaggi non solo sembrano uscire dallo schermo ma si materializzano su un palco. La Casa degli Orrori è un percorso pedonale dove insieme a terrificanti manichini l’unica cosa che realmente spaventa sono alcuni costumanti che a sorpresa cercano di impaurirti. Universal’s Animal Actors è un anfiteatro che offre uno spettacolo di animali ammaestrati. Backdraft mostra come vengono ricreati gli incendi e le esplosioni nel cinema. Nel vicino Special Effects un animatrice spiega alcuni effetti speciali interagendo con il pubblico. Fear Factor Live è la registrazione di uno show televisivo molto popolare negli States in cui alcuni concorrenti si sfidano in prove di abilità e coraggio a volte anche schifose come mangiare vermi. L’unica attrazione davvero interessante è però Waterwald in cui stuntman ricostruiscono una scena molto spettacolare del film tra moto d’acqua spericolate, tuffi da altezza ragguardevole, incendi ed esplosioni.
Terminata la visita al Parco prendiamo la macchina e troviamo alloggio in un motel rendendoci conto che siamo da due giorni ad Hollywood e ancora non abbiamo visto la celebre insegna. La sera andiamo sul lungomare di Santa Monica e ceniamo a pizza in un ristorante italiano della via commerciale. Rientriamo quindi al motel per la notte.

Lunedì 12 maggio 2008 – decimo giorno – Los Angeles – Calico – Las Vegas
Il mattino seguente riusciamo a vedere finalmente la scritta Hollywood posta su una collina inaccessibile e nonostante la foschia che la avvolge la fotografiamo poi lasciamo l’agglomerato urbano di Los Angeles per l’interno della California. Appena lasciata la città subentra il deserto, ovvero una regione disabitata con scarsa vegetazione. Dopo poche ore ci fermiamo a Calico, una delle tante città fantasma d’America, tutte con una storia comune: nate dal nulla in prossimità di una miniera e abbandonate con l’esaurimento del filone. Calico essendo sulla strada di collegamento tra Los Angeles e Las Vegas è molto visitata per cui di conseguenza è in ottimo stato, conserva diversi edifici originali ristrutturati ed alcune fedeli ricostruzioni. L’ambiente è quello classico del far west e tutto è in perfetto stile d’epoca, dalla casa dello sceriffo, alla prigione, dall’ufficio postale alla scuola. Ci sono negozi di souvenir, pasticcerie e caffetterie ma tutto rigorosamente western. Visitiamo anche la piccola miniera, il museo che espone foto e oggetti di quando Calico era abitata e la stazioncina da cui parte un treno per un breve giro turistico che evitiamo di fare. Riprendiamo poi il nostro viaggio lasciando la California per il Nevada, destinazione Las Vegas.
Per arrivare qui abbiamo attraversato una regione desertica fatta di pietre e poche sterpaglie e anche in Nevada la situazione non cambia. Sul confine tra i due Stati però c’è un grande centro commerciale che con grandi insegne informa che qui è possibile giocare d’azzardo. Quello del gioco è infatti il business principale del Nevada e le slot machine di ogni forma e grandezza si trovano davvero ovunque, anche in posti dove non te lo aspetteresti mai. Entri in un distributore di benzina e trovi una slot, vai in un alimentari e trovi un altra macchinetta per giocare, insomma ovunque ti giri puoi tentare la fortuna. Nel centro commerciale dove ci fermiamo per fare rifornimento c’è pure una montagna russa!! Proseguiamo lungo la strada desertica finché come per un miraggio appare Las Vegas, una città costruita dal nulla come un grande parco giochi per adulti. Arriviamo con il sole e ci sistemiamo in uno degli enormi hotel da 5000 camere, l’Excalibur che con un prezzo decisamente conveniente ti fa vivere per un giorno in un ambiente di gran lusso. Del resto questa è la città dei lustrini, delle insegne al neon, degli spettacoli sfavillanti, delle costruzioni avveniristiche. Il nostro hotel è in stile chich-mediovale nel senso che ricostruisce sì un castello delle fiabe ma come lo farebbe un bambino utilizzando le costruzioni della Lego. Anche l’interno è arredato con quello stile: lampadari, balconcini, merletti, cortili a bo-window. La camera in cui dormiamo è ampia e presenta due grandi letti matrimoniali, cosa abbastanza rara in America dove generalmente si dorme in letti a una piazza e mezzo. Ceniamo in uno dei tanti ristoranti dell’Excalibur dove con 18 dollari puoi servirti in un buffet e mangiare di tutto, dalle specialità americane, alla cucina internazionale, dall’italiana alla cinese. Pure la pasticceria offre un grande assortimento anche se si punta più sulla quantità e l’apparenza delle cose che sulla qualità. I distributori di bibite sono a completa disposizione e puoi servirtene a volontà assaggiando pure cose assurde come l’acqua aromatizzata alla ciliegia. Cala la sera e le mille luci di Las Vegas si accendono per cui ne approfittiamo per percorrere lo Strip, il lungo viale dove si affacciano i principali alberghi. Partendo dalla piramide del Luxor dal cui vertice viene proiettato un fascio di luce verso il cielo proseguiamo passando di fronte al nostro hotel quindi attraversiamo lo Streep per entrare nell’albergo della casa cinematografica Metro Goldwin Mayer il cui simbolo è il leone e infatti l’ingresso è preceduto dalla possente statua dorata di questo animale. Nella hall una gabbia di vetro dove è stata ricostruita la foresta ospita alcuni leoni molto meno possenti di quello statuario all’esterno, infatti incuranti dei turisti si sono appisolati. La nostra lunga passeggiata prosegue osservando il New York New York dall’esterno, un hotel la cui facciata ripropone lo skyline della grande mela con tanto di fedele riproduzione della Statua della Libertà e inserimento di un ottovolante che gira intorno ai grattaceli. Tra le mille luci dello strip emerge la mole della riproduzione in scala della Torre Eiffel, grande la metà dell’originale, simbolo dell’Hotel Paris che riproduce anche altre architetture francesi come il Teatro dell’Opera e il Louvre. Davanti al Paris la mole del lussuoso Hotel Bellagio fa da contorno ad un lago artificiale dove con regolarità viene presentata una spettacolare danza di fontane illuminate, bellissimo! Entriamo nel Bellagio perché vorremmo vedere i suoi famosi giardini interni ma sono in allestimento per cui ci limitiamo a vedere gli splendidi fiori di vetro colorato posti sul soffitto della hall. Entriamo poi nel vicino hotel in stile Roma dei Cesari con ricostruzione di ambienti d’epoca come la Domus Aurea di Nerone. Troppo approssimativo lo stile esterno delle facciate e il Colosseo appare troppo stilizzato, molto bella invece la riproduzione della Fontana di Trevi anche se con l’antica Roma non ha molta attinenza. Corriamo al Tresure Island per vedere lo spettacolo dei pirati ma è già terminato per cui ci limitiamo a vedere il la riproduzione del veliero e la sala da gioco all’interno. Il più bell’hotel di Las Vegas è però il Venetian, la facciata ricostruisce alcuni dei principali monumenti veneziani come il Palazzo Ducale, la Torre dell’orologio, il campanile di San Marco e il Ponte di Rialto. E’ strano vedere le macchine passare sotto al Ponte o i cartelloni pubblicitari sul Campanile ma questa è Las Vegas! Al Venetian non delude l’interno, estremamente lussuoso con laghetti e cascate ma il vero gioiello è, al secondo piano, la ricostruzione di parte di Piazza San Marco con tanto di canali, gondole e cielo a giorno. Si sale fin qui con una scala mobile e quando si arriva in “Piazza” pare di essere in pieno giorno perché le luci sono studiate così bene da dare questo effetto ottico che è dato non solo dal cielo finto ma anche dalle piastrelle che sembrano bagnate. Il Venetian ci ha appagato e così con una lunga camminata rientriamo all’Excalibur, il nostro hotel.

Martedì 13 maggio 2008 – undicesimo giorno – Hover Dam – Grand Canyon (Arizona)- Tusayan
Il mattino seguente proseguiamo il tour sulla strada per l’Hover Dam, una poderosa diga la cui costruzione che sbarra il corso del Colorado ha permesso lo sviluppo di Las Vegas in una zona così desertica. Ci si arriva attraverso una strada di aride colline e attraversata la diga si entra in Arizona.
Ci fermiamo in una piazzola di sosta per ammirare dall’alto lo sbarramento segnato da due torri poi proseguiamo a sud in un deserto pietroso dove incontriamo traffico scarsissimo nonostante le strade ampie e in ottimo stato. A Kingman prendiamo la deviazione per la famosa Route 66, un tempo l’unica strada di collegamento tra oriente e occidente tanto da essere considerata la spina dorsale degli States, ora è semiabbandonata e frequentata quasi esclusivamente da turisti che si spostano tra Chicago e Los Angeles. Molti viaggiatori percorrono interamente questa lunga strada che attraversa numerosi Stati, noi preferiamo farne un breve assaggio nel tratto che porta a Peach Sprigs per poi rientrare sulla più comoda Interstatale 40. Sulla Route 66 vediamo distributori e posti di ristoro abbandonati, un manto stradale polveroso e poco traffico. Ci fermiamo in un’area di servizio sopravvissuta ad uso turistico, presenta ancora la vecchia pompa della benzina, numerosi cimeli del suo glorioso passato e qualche macchina d’epoca. All’interno dell’emporio sono esposte le foto autografate degli attori di Hollywood a ricordo della loro sosta qui. Un registro è messo a disposizione dei viaggiatori per lasciare una traccia del loro passaggio e così mentre sfoglio le pagine  trovo la firma di mia figlia e del suo compagno giunti qui qualche giorno prima. Proseguiamo sulla Route 66 cercando un ristoro, alcuni cartelli sembrerebbero indicarli ma quando ci avviciniamo scopriamo trattarsi di luoghi abbandonati. Dopo qualche chilometro troviamo finalmente un luogo dove è possibile pranzare, l’ambiente è spartano ma le signore che lo gestiscono sono molto socievoli. A stomaco pieno continuiamo il nostro percorso tornando sull’agevole Interstatale che lasciamo a Flagstaff per puntare sul Grand Canyon. Prima di raggiungere la meta ci fermiamo ai due piccoli aereoporti di Tusayan per prendere informazioni sui voli in aereo ed elicottero che sorvolano il canyon, le prime partenze saranno però al mattino successivo e il costo è elevato per cui rinunciamo. All’ingresso del Parco acquistiamo dal Ranger la tesserina che ci permetterà di visitare senza ulteriori pagamenti una buona parte delle attrazioni naturali del nostro viaggio (80$ a macchina). Dopo pochi minuti siamo sui bordi del Grand Canyon che ammiriamo dall’alto, la frattura è però così grande che è difficile comprenderne le reali dimensioni anche se le formazioni che si aprono sotto di noi sono molto belle. Aspettiamo il calar del sole, momento in cui il canyon cambia costantemente tonalità di colore. Al termine di questo spettacolo della natura, appurato che gli alloggi del Grand Canyon Village sono al completo, usciamo dal Parco e torniamo a Tusayan dove troviamo posto in un motel discreto. Prima di coricarci usciamo per cenare in una caratteristica Steackhouse in stile western, abbastanza cara ma con una bella atmosfera. Nel West il piatto più tipico è un alta bistecca al sangue servita con una patata cotta intera nel forno e accartocciata in un foglio di alluminio, a volte ti mettono nel piatto pure una pannocchia di granturco abbrustolita.

Mercoledì 14 maggio 2008 – dodicesimo giorno – Tusayan – Grand Canyon – Lake Powel – Page
Il mattino dopo facciamo un abbondante colazione in hotel poi rientriamo nel Parco per vedere il canyon sotto la luce del mattino. Vicino al villaggio parte un trenino su gomma che conduce ad alcuni tra i più interessanti punti panoramici del canyon senza però arrivare alla fine della strada perché una parte di questa è chiusa per lavori. Dopo varie soste intermedie in ognuna delle quali si prende il trenino successivo torniamo al Villaggio dove facciamo una puntatina al Centro visitatori e al Museo. Riprendiamo la nostra vettura lasciata nei pressi della linea ferroviaria percorsa da un treno vecchio stile e usciamo dal Parco prendendo la East Rim Drive che offre ulteriori punti panoramici del canyon da diverse angolazioni. Dall’alto si notano i sentieri percorsi da escursionisti che con un lungo cammino raggiungono il fondo del canyon che è riserva indiana mentre un elicottero sorvola molto più agevolmente i numerosi anfratti. In località Tusayan, da non confondere con l’omonimo luogo dove abbiamo dormito, ci sono i resti di un villaggio indiano e un piccolo museo che conserva suppellettili dei nativi americani. Poco dopo lasciamo il Parco e proseguiamo per Page, una cittadina nei pressi del Lake Powell dove ci informiamo per visitare l’Antelope Canyon che però è già chiuso. Costeggiamo il lago entrando nel Parco del Glen Canyon. Il Powell è un lago artificiale creato da una diga sul Colorado che con le sue acque ha coperto il fondo di un canyon formando un ambiente surreale dai colori ocra e rosa. Sulle rive del lago c’è un porticciolo dove sono ormeggiate numerose case galleggianti ad uso dei turisti. Tornati a Page prendiamo alloggio in un motel e ceniamo nella vicina steackhouse che offre oltre a grandi bistecche la possibilità di farsi un insalata self-service.

Giovedì 15 maggio 2008 – tredicesimo giorno – Page – Antelope Canyon – Kayenta – Monument Valley
Il mattino seguente torniamo alla Steackhouse, questa volta per la colazione, ma non ci troviamo bene come la sera prima e il personale è indisponente. Dopo mangiato andiamo in una delle tante agenzie specializzate nell’Antelope e partiamo a bordo di grosse camionette. Io e mia moglie troviamo posto a fianco di una conducente navajo mentre i miei  compagni trovano posto sul cassone scoperto. Percorrendo una strada di sabbia in mezzo a un deserto di pietre ocra dove le ruote dei mezzi camminano veloci raggiungiamo uno stretto anfratto nella roccia, l’Antelope Canyon. A piedi camminiamo seguendo la guida all’interno dell’angusto canyon tra pietre che sembrano contorcersi l’una nell’altra, la luce del sole filtra con difficoltà illuminando con strani effetti questo ambiente a metà tra un paesaggio incantato di una fiaba e un dipinto surrealista. L’Antelope non è grande ma è sicuramente particolare, il costo dell’escursione è alto perché è effettuabile solo con guida e una parte del biglietto è a favore della riserva indiana a cui appartiene. Torniamo a Page e ripresa la nostra vettura proseguiamo in direzione Monument Valley. Dopo aver percorso quasi 100 chilometri mi rendo conto di aver lasciato il mio telefonino in camera sulla mensola della finestra così torniamo a Page per cercarlo ma sarà inutile perché il ragazzo addetto alle pulizie se ne era già  appropriato. Oltre al danno la beffa, 200 chilometri tra andata e ritorno percorsi in più e niente telefono. Nei pressi di Kayenta ci sorprende un forte acquazzone, preferiamo aspettare che smetta in un McDonald. Finita la pioggia raggiungiamo l’ingresso per la Monument Valley in piena riserva indiana per cui non essendo Parco Nazionale dobbiamo pagare il biglietto. I monoliti della Monument Valley sono visibili anche dalla statale ma passarci a fianco è tutta un’altra cosa, tra l’altro il nostro Suv ci permette di affrontare agevolmente la strada sterrata del Parco. Queste grosse caratteristiche pietre sono molto familiari perché le abbiamo viste in numerosi film western con John Wayn. Quei film erano diretti da John Ford a cui è dedicato uno dei punti di osservazione più belli. Sembra di essere catapultati come per magia in uno dei tanti film di questo genere e ammiriamo questi monoliti davvero monumentali. Lasciando il Parco aspettiamo che il sole tramonti sulla Monument Valley.
Entriamo nello Stato mormone dopo aver visitato la spettacolare e celeberrima Monument Valley il cui ingresso è in Arizona ma le cui propaggini settentrionali sbordano anche in Utah. Il paesaggio che ci accoglie è una zona desertica costellata di formazioni rocciose senz’altro meno belle di quelle della Monument Valley ma comunque interessanti. Le guglie della Monument sono alle nostre spalle ma anche viste da qua sono davvero belle, è il tramonto e la luce del sole cangia sulle formazioni rocciose. Mentre cala la sera attraversiamo un paesaggio di pietre colorate prima di arrivare a Blanding dove cerchiamo un alloggio senza trovarlo perché gli hotel risultano tutti al completo. Ci viene comunque prenotata una camera nella cittadina successiva, Monticello. Trovato il Motel parcheggiamo e cerchiamo di mangiare qualcosa in un vicino locale a metà tra il bar di paese e il piccolo supermarket, Dobbiamo accontentarci di quel che troviamo lì che tra l’altro è poco invitante e di scarsa qualità. A stomaco quasi vuoto e molto stanchi torniamo in hotel dove troviamo una brutta sorpresa, la camera è sporca, il condizionatore dell’aria è un ammasso di ruggine e la porta non si chiude bene, In qualche modo riusciamo comunque a dormire anche perché la stanchezza finisce per prendere il sopravvento.

Venerdì 16 maggio 2008 – quattordicesimo giorno: Moab, Arches, Canyolands, Salina
Ci svegliamo con la speranza che almeno la colazione che ci hanno detto compresa nel prezzo sia decente ma le sorprese non sono finite, alla reception non c’è nessuno e non esiste alcun locale per fare colazione!! Presa la macchina ci fermiamo al primo bar che troviamo lungo la strada ma capiamo subito che non c’è niente da mangiare. L’Utah non ci ha davvero accolto bene, proseguiamo a nord e deviamo per una delle tre zone del Canyoland Park, quella dei neadles, speroni di roccia sottili simili ad aghi. Queste strane formazioni sono simili ai camini delle fate che si trovano in Cappadocia, c’è uno strato di roccia più duro che ha resistito all’erosione permettendo la formazione sotto di se dell’esile colonna più friabile. Lasciando i canyon e percorrendo a ritroso la strada che ci porterà sulla via principale vediamo alcuni moderni cow boy a cavallo che pascolano con il loro bestiame in queste lande desolate. Usciti dal Parco puntiamo su Moab dove al primo supermarket ci fermiamo a mangiare. Per fortuna i supermarket negli Stati Uniti offrono la possibilità di scaldarsi un panino e di condirlo a piacimento. In Italia tutto questo non sarebbe possibile perchè in molti ne abuserebbero senza ritegno ma qui ci sono abituati e nessuno ne approfitta. Prima di visitare Moab ci aspetta l’Arches Park dove vediamo decine di archi naturali più o meno grandi ma anche altre strane formazioni rocciose. Rinunciamo invece ad andare al Delicate Arch. Il sentiero è troppo lungo e fa caldo, ci limitiamo a guardarlo da lontano e lo fotografiamo, questo arco è il simbolo dell’ Utah. Usciti dal Parco facciamo una breve sosta a Moab, una cittadina che sembra non offrire niente di interessante se non qualche architettura neowestern a pro dei numerosi turisti. Lasciata Moab raggiungiamo Salina dove finalmente facciamo una vera cena in un bel ristorante e dove alloggiamo in un buon motel.

Sabato 17 maggio 2008 – quindicesimo giorno – Bryce Canyon, Zion, Las Vegas
Il mattino seguente proseguiamo per il Bryce Canyon, sicuramente uno dei parchi più belli visti negli Stati Uniti. L’eleganza delle colonne rosa che formano questo spettacolare anfiteatro di roccia lascia senza parole, Mentre mia moglie preferisce gustarsi il parco dall’alto, io insieme ai miei  compagni affrontiamo un bel sentiero che passando in mezzo alle formazioni rocciose ci porta fino in fondo all’anfiteatro naturale per poi risalire. Lo spettacolo che qui la natura offre è davvero entusiasmante, non ancora sazi raggiungiamo con la nostra vettura tre punti panoramici che offrono altrettanti punti di osservazione del
Bryce. Se i precedenti Parchi visitati in Utah ci avevano in parte delusi questo meritava sicuramente il viaggio fin qui. Prima di lasciare il Parco diamo un occhiata al piccolo ma ben tenuto Museo. Proseguendo il nostro itinerario in pochi chilometri il paesaggio si trasforma completamente, i canyon e le strane formazioni rocciose lasciano il posto ad un paesaggio montano di tipo alpino, la strada si inerpica ed entra nello Zion Park attraversando una galleria e riscendendo poi a valle con tornanti dal quali si osservano bei paesaggi. Nello Zion ci siamo finiti per sbaglio ma la cosa non ci dispiace affatto. Usciti dal Parco la strada prosegue fino al confine con l’Arizona dove rientriamo per un breve tratto.

Tornando dai grandi parchi di Arizona e Utah la strada, se si è diretti alla Death Valley, transita nuovamente per Las Vegas. Rientrati in Nevada dall’Arizona ci fermiamo nella grande area commerciale sul confine tra i due stati per uno spuntino, quindi eccoci di nuovo a Las Vegas che ci accoglie sotto la luce del sole. E’ sabato e i prezzi degli hotel sono più che raddoppiati. Questa volta troviamo una sistemazione al Luxor e la nostra camera è proprio all’interno della grande piramide tanto che il soffitto ne segue la sua angolazione. Ceniamo come la volta prima al full inclusive dell’Excalibur, visto che al Luxor è più caro, assaggiando un po’ di tutto ma riempiendoci più gli occhi che lo stomaco. Anche in questa seconda occasione ci aspetta lo Streep con i suoi grandi hotel e questa volta iniziamo dal New York New York visitandolo all’interno dove è stata ricostruita una parte della “grande mela”. Proseguiamo per rivedere la meravigliosa danza delle fontane del bellagio e visto che ci siamo, torniamo all’interno dell’hotel per vedere se l’allestimento floreale è terminato. La nostra perseveranza è stata premiata da uno spettacolare giardino con automi sul tema del treno. All’uscita, dopo aver rivisto per l’ennesima volta la danza delle fontane, proseguiamo la visita entrando nuovamente nell’imperial palace e riuscendo a vedere almeno il finale dello spettacolo dei pirati al tresure island, tra l’altro, almeno per quel che si è visto, niente di eccezionale. Proseguiamo fino quasi in fondo allo Streep entrando nel Circus Circus, peraltro non eccelso, quindi torniamo indietro facendo sosta al già sopracitato Venetian, troppo bello per non fare il bis. Entravamo anche al Paris nella cui hall penetrano le “gambe” della riproduzione della torre Eiffel e in cui sono ricostruiti tra un tavolo da gioco e l’altro caratteristici scorci parigini e perfino una stazione del metro. Di sabato lo streap è più affollato del solito e a tarda notte circolano anche strane persone. All’Excalibur prendiamo la monorotaia gratuita per il Mandalai e da qui andiamo a piedi al Luxor dove crolliamo stanchissimi sul letto. Il giorno seguente dopo un abbondante colazione full inclusive all’Excalibur lasciamo Las Vegas e dopo non molti chilometri di deserto usciamo dal Nevada ed entriamo in California.

Domenica 18 maggio 2008 – SEDICESIMO GIORNO – Death Valley – Lone Pine – Bishop
Entriamo in California dal Nevada nei pressi di Parhump e siamo subito nella Death Vally, una delle depressioni più importanti del pianeta visto che la sua superficie è quasi completamente sotto il livello del mare. Per un cartello segnaletico sbagliato, nei dintorni di Shoshoa, prendiamo una strada bianca che attraversa il deserto vero, il navigatore satellitare va il tilt, mia moglie ed il mio amico sono molto preoccupati, ma la macchina è nuova, prima di entrare nel deserto abbiamo controllato tutti i livelli, tiriamo dritti con la speranza di arrivare a Zabronski Point. Non incrociamo nessuno e solo dopo un’ora ritroviamo una strada asfaltata e qualche rara macchina che ci fa capire che siamo sulla retta via. In effetti dopo pochi chilometri siamo a Zabronski Point dove scendiamo per ammirare una panoramica su questo sterminato deserto privo di vegetazione, lande desolate che si alternano a rilievi increspati color ocra, superfici cristallizzate dal sale e dune di sabbia. Fa molto caldo per cui ci rimettiamo in macchina per usufruire del condizionatore d’aria a manetta. Proseguiamo per una strada che dopo qualche tornante ci porta su un alto colle, il Dantes Wiew, da cui si ammira un altra prospettiva della Valle della Morte, stiamo infatti sovrastando il Badwater, un lago che il forte caldo ha fatto evaporare e che al suo posto ha lasciato una grande distesa di sale che si è cristallizzata, il sole vi riflette dandogli le sembianze di un enorme specchio. Proseguiamo verso il centro di Furnace Creek che baipassiamo per continuare lungo la strada che attraversa il Parco. Continuiamo costeggiando un area di dune sabbiose molto simili a quelle del Sahara. Percorriamo un ambiente surreale fatto di pietre dalle tonalità di colore più disparate poi scendiamo in una depressione dai colori abbaglianti e che da il senso dell’infinito, ovunque volgi lo sguardo sembra che questo immenso territorio apparentemente privo di vita non finisca mai. La strada risalendo fa intravedere qualche timido cespuglio che riesce a sopravvivere pure a queste temperature. E’ sorprendente come da qui in pochi minuti si cambia completamente paesaggio andando alle pendici di una catena alpina. In pochi chilometri rivediamo qualche pianta e a Lone Pine ricomincia la civiltà. In questa cittadina sono stati girati molti film ed è facilmente comprensibile il motivo, in pochi chilometri si passa dalle montagne alpine al deserto di sabbia, da uno dei territori più  caldi e inospitali della terra a vette innevate, insomma nei dintorni di Lone Pine la cinematografia si può sbizzarrire. Nella cittadina sono stati ricostruiti alcuni locali del vecchio west e noi entriamo in uno di questi molto caratteristico. Oltre a cenare discretamente osserviamo i numerosi autografi di attori di Hollywood sparsi un po’ ovunque sulle pareti di legno e sulle travi del ristorante. Ci sono appese anche foto di set cinematografici, manifesti di film e tipici oggetti del far west. Rifocillati raggiungiamo la località successiva, Bishop, dove dormiremo in un Motel super 8 prenotato tramite internet da Las Vegas

lunedì 19 maggio 2008 – DICIASSETTESIMO GIORNO –  Yosemite Park – Mariposa Growe
Da Bishop puntiamo verso lo Yosemite Park. Ieri pomeriggio abbiamo appreso da una coppia di italiani incontrarti nella Death Valley che la strada più breve è chiusa al traffico per neve (neve che non c’è) così saremo costretti ad un giro molto più lungo per poi entrare dalla parte opposta. Così nei pressi del Mono Lake anziché deviare verso il Tioga Pass proseguiamo a nord fino al bivio di Sonora dove ci immettiamo sulla 108, una strada che per certi tratti è pure interessante con scorci di montagna ricchi di verde e torrenti. Ovviamente la salita e la discesa del Sonora Pass presenta qualche tornante, la strada è lunga ma, c’è un interessante vegetazione tutta intorno. Man mano che si scende sull’altro versante si incontrano sempre più villaggi lungo la strada poi raggiungiamo Sonora che baipassiamo per immetterci sulla 120. Poco dopo prendiamo la deviazione che finalmente ci conduce nello Yosemite Park. La strada all’interno del Parco presenta  in molti punti interruzioni per lavori in corso, si cammina a traffico alternato regolato da semafori che sono lentissimi. Si cominciano comunque ad intravedere interessanti panoramiche sulle montagne che ci circondano, una lunga vallata fa da sfondo ad una cascata che seppur esile è  più alta di quella del Niagara. La panoramica merita una breve sosta assaporando che presto saremo proprio all’interno della valle. Discendendo verso la Yosemite Valley notiamo che ovunque giriamo lo sguardo vediamo una cascata. Man mano che ci avviciniamo a Yosemite Village si fa sempre più evidente El Capitain, la montagna regina di questo parco, un monolito dolomitico che sovrasta tutta la valle.
La strada costeggia il Merced River, un grazioso torrente circondato da splendide montagne. Le cascate viste prima in lontananza ora si offrono a noi con tutta la loro eleganza. Facciamo sosta al Villaggio ed entriamo nel fornitissimo supermarket per comprare qualcosa da mangiare, poi proseguiamo il giro passando vicino a El Capitain ma anche a un altra imponente montagna, l’Half Dom. L’ambiente è molto bello, montagne dolomitiche completamente spoglie da cui scendono fragorose cascate e sotto di loro boschi di conifere e prati verdi. Belle quasi come le nostre dolomiti.  Dirigendoci a sud si incontra un area del Parco denominata Mariposa Growe dove sono visibili alcuni grossi esemplari di sequoia. Questi alberi sono davvero imponenti sia in altezza che per diametro del fusto, siamo così piccoli non solo di fronte a loro ma anche se confrontati a una delle loro numerose radici che emergono in superficie. Tra gli alberi si aggira anche un cerbiatto che attira la nostra attenzione. Poco dopo lasciamo lo Yosemite Park, è stata una lunga giornata di viaggio e abbiamo macinato molti chilometri ma siamo stati ripagati da quello che la natura ci ha offerto. La stanchezza è tanta e così ci fermiamo al primo paese incontrato, Oakhurst, dove ceniamo in una pizzeria e pernottiamo in un Motel lungo la strada.

martedì 20 maggio 2008 –  DICIOTTESIMO GIORNO – San Francisco
Il Motel che ci ha ospitato è ubicato in un posto molto carino, ieri sera siamo arrivati a buio e non ce ne eravamo resi conto, facciamo colazione sulla terrazza che si apre in un bel boschetto di conifere, davvero uno dei migliori alloggi di questo viaggio. Da qui affrontiamo un lungo trasferimento verso San Francisco raggiungendo l’agglomerato urbano della città con l’attraversamento del San Matteo Bridge sul quale per la prima volta vediamo la celebre baia. Ci fermiamo in un sobborgo piuttosto desolato abitato da gente dell’India per comprare qualcosa da mangiare in un negozio, anche questo gestito da un uomo con turbante. Prima di entrare in città entriamo all’aeroporto, siamo in anticipo sulla tabella di marcia che ci eravamo prefissati e ci piacerebbe trovare un volo per le Hawaii ma con grande sorpresa scopriamo essere molto cari. Pur essendo un volo nazionale è più costoso comprare un volo per Honolulu qui che a Milano!! Abbandonata l’idea Hawaii ci dirigiamo nel centro di San Francisco che ci accoglie con i suoi grattaceli, certamente meno imponenti di quelli visti a New York. Dopo aver visto dove si trova l’hotel prenotato in Italia, ma siamo in anticipo e qui verremo solo tra qualche giorno, troviamo una sistemazione in un Motel 6 di Lombard Street. C’è un vento molto forte ed è freddo, ci auguriamo che qui non sia sempre così. E’ sera, usciamo solo per un giro nei dintorni e ceniamo in un piccolo ristorante italiano, poi torniamo in Motel per il pernotto.  

mercoledì 21 maggio 2008 – DICIANNOVESIMO GIORNO – San Francisco
Ci siamo svegliati con il sole, non tira più vento e decidiamo di iniziare la visita di San Francisco, abbiamo letto che spesso chi viene qui non riesce a vedere il celebre Golden Gate perché avvolto dalla nebbia ma oggi il cielo è così nitido che merita di puntare subito verso il ponte. Visitiamo i dintorni di San Francisco in auto, auto che restituiremo solo domani. Avvistiamo questa superba costruzione, un tempo il ponte più lungo del mondo, si mostra a noi in tutta la sua imponenza. Lo attraversiamo e raggiunta l’altra sponda ci fermiamo nei vari punti panoramici dove si osserva questo splendido contrasto tra il rosso del ponte e il blu del mare, In mezzo alla baia la piccola isola di Alcatraz, fino a poco tempo fa un penitenziario di massima sicurezza  da cui era impossibile evadere. Visto che siamo sulla sponda di Sausalito decidiamo di raggiungere anche questa nota località turistica che presenta un porticciolo per natanti e un grazioso centro con numerosi negozi di souvenir. Decidiamo di trovare un bar che ci hanno indicato (qui a Sausalito parlano quasi tutti italiano e sono appassionati di calcio) per vedere in tv la finale di Champions League. Finita la partita riprendiamo la macchina ma non riusciamo a tornare dal Golden Gate perché è stato chiuso a causa di un incidente, passiamo allora più a nord dal San Raphael Bridge. Questo ponte è più lungo  e più alto del Golden Gate e dal centro si domina tutta la baia. Giunti dall’altra parte della costa raggiungiamo il Bay Bridge che attraversa la baia appoggiandosi su un isoletta e arriva quasi nel centro di San Francisco. Passiamo in mezzo ai grattaceli e andiamo sul lungomare fino al Pier 39, una banchina del porto trasformata in un polo di attrazione turistica con negozi di artigianato e souvenir, ristoranti, artisti di strada e una colonia di leoni marini. Ceniamo in un elegante ristorante del Pier, il nostro tavolo è di fronte a una vetrata che dà sul mare e gustiamo la specialità di San Francisco, il granchio. In pratica ti portano un granchio intero bollito di cui si mangia la polpa, secondo me niente di eccezionale. Dopo cena rientriamo nel solito motel del giorno precedente per il pernotto.

giovedi 22 maggio 2008 – VENTESIMO GIORNO – San Francisco – Monterey – Silicon Valley – Carmel
Lasciato il Motel di Lombard Street optiamo per un tour a sud della città. Attraversata la celebre zona della Silicon Valley che ha dato i natali all’informatica moderna raggiungiamo Monterey, un tempo capoluogo della California. Ci fermiamo al porticciolo da dove tra l’altro partono minicrociere in barca per vedere le balene ma purtroppo il mare è mosso e non saranno effettuate. E’ un posto molto turistico per cui non mancano i soliti negozi di souvenir, le bancarelle alimentari, i ristoranti che propongono pesce. Andiamo poi nel centro della cittadina che ospita il più importante acquario degli U.S.A. dove non entriamo anche perché c’è una lunga coda. Andiamo invece ancora più a sud, a Carmel, dove si trova la prima Chiesa Cattolica della California con annesso monastero. Il complesso è cinto da mura, presenta un piccolo museo ed è dedicato a San Francesco. Risalendo a nord ci fermiamo in una spiaggetta, la sabbia è un po’ ruvida.
Rientrati a San Francisco dedichiamo la serata alla strada che ospita Little Italy. Ristoranti italiani si trovano un po’ ovunque nelle città americane ma qui c’è il monopolio dell’italianità, vera o presunta, perché in realtà molti dei ristoranti che si affacciano su questa strada sono gestiti da asiatici. Comunque qualche locale italiano c’è ancora: caffetterie, ristoranti e anche alimentari dove si può trovare dal farro della Garfagnana e all’olio Bertolli. Che siano realmente italiani o no qui sei quasi a casa, sui pali della luce è disegnato il tricolore, dalle caffetterie risuonano musiche nostrane e sulla strada veniamo costantemente invitati ad entrare nei ristoranti da connazionali. Ovviamente in tutto questo marasma finiamo per entrare in una pizzeria che di italiano ha solo il nome, comunque mangiamo un ottimo calzone. Decidiamo poi di cambiare Motel e sempre in Lombard Street ne troviamo un altro, il Motor Inn. La camera è economica e quando entriamo scopriamo di essere finiti in un vero porcile: coperte strappate, lenzuola sporche e sotto il letto una discarica di rifiuti. Probabilmente quella camera non era stata pulita da anni!! Uno dei miei compagni protesta vivacemente con il portiere, rivogliamo indietro i soldi ma ne nasce quasi un tafferuglio così che il mio amico è costretto a chiamare da una cabina telefonica la Polizia che interviene rapidamente. Restituitici i soldi torniamo al Motel delle sere precedenti per il pernotto.

venerdì 23 maggio 2008 – San Francisco – 49-MILE
Appena svegli apprendiamo che uno dei nostri compagni non si sente troppo bene per cui non ci seguirà nell’escursione odierna e si trasferirà singolarmente all’Hotel che abbiamo prenotato prima di partire dall’Italia. Vicino al Motel dove abbiamo dormito c’è un localino che sembra invitante. Purtroppo c’è il consueto problema della lingua, nessuno di noi parla inglese e anche questa volta ordiniamo credendo una cosa e ne arriva un’altra. Al nostro amico va meglio perché ha ordinato la solita crèpe mentre a me e mia moglie ci vengono servite due brodaglie immangiabili. La mattinata è dedicata a un ampio giro della città, non solo delle zone turisticamente più note ma anche di quelle secondarie, dobbiamo approfittarne perché domani mattina dovremo riconsegnare la vettura all’autonoleggio. In questo lungo percorso tra le colline che circondano San Francisco da tutti i lati transitiamo per la famosa strada del gabbiano, la mail-49, in teoria dovremmo seguire i cartelli che la indicano ma nella realtà molto spesso ci perdiamo uscendo dal circuito, morale della storia la segnaletica dovrebbe essere rivista. La strada mostra vari luoghi della città, dai parchi pubblici ben curati, alle spiagge ampie ma poco invitanti. Nonostante il litorale non inviti alla balneazione non ci priviamo a mettere a mollo per qualche secondo le gambe nelle fredde acque del Pacifico. Ci fermiamo anche nel punto panoramico presso l’alta antenna da dove si gode di una grande prospettiva della città. Il circuito finisce nei pressi del Pier 39 giù visitato precedentemente. Parcheggiamo e ci addentriamo in Fisherman Warf, zona affollatissima di turisti con numerosi ristoranti di pesce e negozi di souvenir. Dopo aver cercato un buon ristorante finiamo per mangiare un panino in un fast food affollato. Visitiamo poi il vicino parco della Marina alle cui banchine sono attraccate navi mercantili del passato dove saliamo per vedere sia i ponti che le stive. All’interno alcune ricostruzioni mostrano la vita di bordo di quando queste navi affrontavano i mari di tutto il mondo. Tra l’altro visitiamo questo Museo all’aperto e anche la vicina esposizione interna con la tessera dei Parchi Nazionali. Purtroppo la tessera non ci consente invece di salire su un sottomarino militare ancorato, il biglietto ci sembra caro per cui rinunciamo. Dovendo sfruttare a pieno l’ultimo giorno di macchina, transitiamo per il celeberrimo tratto di Lombard Street immortalato in numerose cartoline, ovvero quel breve ma irto percorso a zig zag che collega due delle principali arterie che da Fisherman Warf salgono sui colli per poi ridiscendere nel centro cittadino. Sull’irta strada fiancheggiata da aiuole di fiori c’è il limite a 5 miglia ma non vedo come si potrebbe andare più veloci. Voltandosi verso Fisherman lo sguardo spazia sul mare e sull’isola di Alcatraz. Andiamo poi all’Hotel che abbiamo prenotato dall’Italia dove trascorreremo le ultime tre notti. Qui ci ha preceduto l’altro nostro compagno con cui ci ricongiungiamo. Dopo aver preso possesso delle camere piuttosto belle e spaziose, non possiamo fare a meno di sdraiarci sul letto per un bel riposo davanti alla televisione. La sera ci alziamo a fatica per andare alla ricerca di un ristorante a Little Italy, dopo tante schifezze americane desideriamo una cena nostrana. Per raggiungere questo quartiere transitiamo brevemente per la colorata China Town. A Little Italy questa volta ci lasciamo convincere ad entrare in un ristorante che non è italiano solo di nome ma anche come gestione e in effetti mangiamo discretamente. Rifocillati rientriamo in Hotel per il pernotto.

sabato 24 maggio 2008 – San Francisco
Al risveglio ci aspetta un abbondante colazione all’americana compresa nel prezzo dell’Hotel. L’abbuffata mattutina ci consentirà una certa autosufficienza per tutto il giorno. Andiamo a consegnare l’autovettura al noleggio con la consapevolezza che nei prossimi giorni dovremmo camminare. San Francisco è un saliscendi di viali ma la cosa non ci preoccupa perché potremo usufruire dei famosi tram che attraversano la città. Prima  visitiamo la parte più vecchia di San Francisco dove si trovano i monumenti principali della città. Il Palazzo Municipale su cui sventolano le bandiere di U.S.A. e California è preceduto da un monumentale viale dove sono incisi i nomi di tutte le Nazioni del mondo in ordine cronologico rispetto al loro ingresso nelle Nazioni Unite, un elenco che in questi ultimi decenni ha subito numerose modifiche. Di fronte al Municipio c’è un parco pubblico dove si tiene una festa orientale, del resto qui c’è una grande comunità asiatica. Raggiungiamo poi la stazione dei tram con una non lunga camminata. I tram hanno il loro capolinea nel centro cittadino dove vengono girati a spinta dai tranvieri prima di riprendere la salita, in pratica vengono posti su una specie di giostra azionata a mano, somiglia molto alla stazione del mini-metrò di Perugia. Bisogna fare la coda per salire da qui e i vagoncini sono spesso affollati tanto che alcune persone sono costrette a stare sull’esterno. Il macchinista aziona una potente leva molto simile a un lungo freno a mano. Andiamo a Fisherman Warf aggirandoci tra i numerosi negozietti e visitando un esposizione di giochi meccanici risalenti alla prima metà del ‘900 ancora in funzione ospitati all’interno di un grosso capannone. Pranziamo velocemente nel fast food del giorno prima poi passeggiamo per Fisherman. Il biglietto che abbiamo acquistato per il Tram vale due giorni e così ne approfittiamo e torniamo in centro per visitare qualche negozio come quello della Machintos dove si può navigare gratuitamente in internet, quello della Virgin e quello dei Levi’s, il padre di tutti i Jeans nato a San Francisco. Riprendiamo il tram che ci scarica non lontano dal capolinea. Nonostante sia sabato sera non c’e molta gente in strada ma questo lo abbiamo notato un po’ in tutti gli U.S.A. ad eccezione dell’affollatissima Las Vegas. Sembra quasi che da una cert’ora scatti il coprifuoco e sulle strade si trovano solo i barboni, molti dei quali di colore, rannicchiati a dormire su un cartone. Raggiungiamo il nostro Hotel per il pernotto.

domenica 25 maggio 2008 – San Francisco
In pratica è il nostro ultimo giorno negli U.S.A. visto che domani prenderemo il volo per il ritorno. Dopo l’abbondante e piacevole colazione a self service in Hotel ci dirigiamo in tram a Fisherman Warf oziando tra la banchina 39 e il resto di questa area turistica. E’ domenica e Fisherman è più affollato del solito, alcuni di noi gradirebbero fare una gita ad Alcatraz ma i posti in traghetto sono contingentati per cui sarebbe impossibile riuscirci. In quasi una settimana a San Francisco abbiamo visto più o meno tutto quello che c’e di interessante per cui non rimane che far trascorrere il tempo fino a sera. Visitiamo la vicina Piazza Girardelli dove non eravamo ancora stati, praticamente un centro commerciale creato dalla più importante fabbrica di cioccolatini della California fondata da un immigrato italiano di origini liguri. All’ingresso ci vengono pure offerti dei cioccolatini. Verso sera con il solito caratteristico Tram torniamo in centro, sulle guide abbiamo letto che in una piazza dovrebbero esserci dei musicisti di strada ma non se ne vede alcuno.  Rientriamo prima anche perché domani ci aspetta un lungo viaggio, confermiamo i voli dalla postazione internet dell’Hotel dove abbiamo fatto amicizia con la giovane portiera, una ragazza da poco giunta dall’Uzbekistan di nome Mohi. Andiamo quindi in camera per il pernotto.  

lunedì 26 maggio 2008 – San Francisco – Londra – Roma
E siamo giunti al giorno della partenza e alla fine di questo lungo viaggio negli U.S.A. in cui abbiamo toccato gli Stati di New York, New Jersey, Pennsylvania, Maryland, District of Columbia, Virginia, California, Nevada, Arizona e Utah. Nel nostro itinerario abbiamo visto le città di New York, Washington, Los Angeles, Las Vegas e San Francisco. Siamo entrati nei Parchi di Grand Canyon, Glenn Canyon, Antelope Canyon, Monument Valley, Canyoland, Arches, Bryce, Zion, Death Valley e Yosemite. Abbiamo visitato i Musei di Washington, la piantagione storica di Mount Vernon, la città western di Calico e gli Universal Studios di Hollywood. Abbiamo percorso 7.000 Km.  cambiando due autovetture ed effettuando un volo tra la Virginia e la California. Facciamo colazione al buffet dell’Hotel poi prendiamo il taxi che la giovane Mohi ci aveva prenotato la sera prima. Partiamo dall’aeroporto di San Francisco per un volo di circa 13 ore diretto a Londra. Durante il volo distinguiamo dall’oblò la grande ansa formata dal fiume Missouri in South Dakota. L’aereo vola su U.S.A. e Canada, sfiora la Groenlandia e alle 23,30 vediamo il sole, attraversa l’Irlanda e giunge a Londra. Qui cambio di vettore per Roma Fiumicino dove arriviamo nel primo pomeriggio del giorno dopo. Portiamo in Italia il ricordo di un lungo viaggio e un ombrello ciascuno, regalateci dal Park Line Hotel di New York la prima notte e che ci hanno fatto  comodo solo la prima mattina e d’ingombro per tutti i nostri spostamenti.
All’aeroporto di Roma Fiumicino ci aspetta nostro figlio per riportarci a casa, noi no ma lui è contentissimo, la mamma gli preparerà di nuovo dei bei pranzetti.

Alcuni consigli: 1) per la west coast è consigliabile partire da San Francisco anziché da Los Angeles perché se vi avanza qualche giorno da Los Angeles vi potete spostare in numerosissimi bei posti, perfino il Messico è vicino;
2) se potete portate con voi il portatile, in tutti i Motel ed Hotel le camere sono dotate di cavo di rete, cosi potrete prenotare dove dormire sera per sera;
3) è necessario portare contante per le piccole spese in posti non sicuri, anche per la benzina, in molti posti non è possibile utilizzare la carta di credito, circa 800$ a testa;
4) guidare negli U.S.A. è semplicissimo, basta rispettare i limiti sempre ben segnalati, le strade sono meravigliose, la segnaletica pure;
5) se andate in alta stagione è necessario prenotare almeno il giorno prima e nelle grandi città diversi giorni prima;
6) Non perdetevi i tramonti, sono il meglio dei parchi (e del mio viaggio negli U.S.A.), eccezionali quello sul Grand Canyon e quello sulla Monument Valley, non perdetevi l’Antelope Canyon alle ore 11 di un giorno di sole;
7) Viaggiare in 4 si risparmia tantissimo, oltre al costo dell’autovettura negli alberghi (negli usa si paga la camera) si può dormire tranquillamente tutti nella stessa camera;
8) evitate Las Vegas nel fine settimana, costa il triplo;
9) compratevi una scheda di un operatore americano, nei parchi e nel deserto quello degli operatori italiani non prendono. Comunque nei Visitor Point ci sono quelli fissi che con la scheda italiana della Columbus da 10 Euro si può parlare al fisso per 90 minuti ed ai cellulari per 30 min.

Primo Gosti


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