Ladakh 2011


JULAY-JULAY, VIAGGIO IN LADAKH

(racconto di viaggio agosto 2011 di Manuela e Andrea)

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6 AGOSTO 2010: una tremenda alluvione ha portato via vite umane, case, ponti ed anche i nostri sogni di vivere una vacanza memorabile.

6 AGOSTO 2011: ripartiamo da qui perchè vogliamo riprovarci!! siamo matti? boh, forse ma la voglia sfrenata di visitare questo paese è veramente grande.
Finalmente il giorno tanto atteso è arrivato; si parte per il Ladakh, un sogno che comincia ad avverarsi. Dopo la mancata partenza dell’anno scorso a causa dell’alluvione, l’attesa e l’eccitazione per questo viaggio è veramente enorme. In tutti questi mesi abbiamo fantasticato su cosa ci attenderà in questo paese; le aspettative sono veramente notevoli e siamo sicuri che il Ladakh e la sua gente non ci deluderanno.
Siamo veramente impazienti di entrare in contatto con una realtà così diversa dalla nostra e confrontarci con culture e tradizioni così importanti per la gente locale. Non vediamo l’ora di toccare il suolo ladakho e cominciare il nostro viaggio tanto sognato e programmato.
Come è nata l’idea del Ladakh?
Due anni fa, di ritorno dall’Argentina, nacque in noi la voglia di fare un trekking per rivivere l’esperienza fatta anni fa in Perù e cercando di avverare un nostro sogno; quello di andare in Asia.
Nepal e Tibet nel periodo di agosto non sono indicati a causa dei monsoni che rendono le strade impraticabili e quindi i trekking improponibili, ma navigando in internet e soprattutto vedendo un filmato capimmo che il Ladakh era la nostra meta.
Sempre tramite internet (che potenza!!) abbiamo trovato l’agenzia locale alla quale ci siamo appoggiati per l’organizzazione non solo del trekking ma di tutte le escursioni. Sarà stato il nome a convincerci della scelta “Dreamladakh Trek and Tour” (www.dreamladakh.com); non solo, il loro sito è ricco di informazioni e mostra la loro competenza e professionalità.
Dopo il lungo viaggio, finalmente atterriamo a New Dehli; sbrigate tutte le pratiche doganali, per la verità molto veloci, ci dirigiamo agli imbarchi per il volo verso Leh. L’attesa sarà lunga; non ci sono posti a sedere, così decidiamo di trascorrere il tempo seduti per terra dormicchiando per quanto si riesce a fare, sotto lo sguardo divertito dei numerosi poliziotti che stazionano nella sala check‐in. Alle 6.00 siamo pronti per imbarcarci; il volo parte puntualissimo e nonostante la stanchezza rimaniamo con il naso incollato al finestrino in attesa di vedere le montagne. Ed eccoci accontentati, lo spettacolo che appare è semplicemente grandioso, cime innevate della catena himalayana intervallate da ampie ed aride vallate.
Altrettanto emozionante è l’atterraggio; l’aereo si abbassa all’interno della valle, procede circondato da alte vette per poi “infilarsi” nella vallata in cui è situata la città di Leh. La pista è costituita da una lunga lingua di asfalto, mentre l’aeroporto è una semplice e piccola costruzione senza alcun tipo di servizio. All’uscita troviamo, come programmato, un corrispondente dell’agenzia a cui ci siamo rivolti che ci accompagnerà in città. Qui conosciamo finalmente Javeed con il quale abbiamo organizzato via mail il nostro viaggio. L’emozione è veramente tanta; non ci sembra ancora vero di essere in Ladakh.
Lasciate le valigie in hotel, decidiamo di cominciare la nostra esplorazione della città; che bello immergersi liberi fra la gente e il traffico di questa caotica Leh!
Julay, Julay si sente all’uscita dei negozi; incontriamo i sorrisi di questa gente ed il loro sguardo orgoglioso nel vedere quanta gente proveniente da ogni parte del mondo viene a visitare il Ladakh.
Pensavamo che, visto il grande afflusso turistico dei mesi estivi, Leh fosse una città un po’ al passo con i tempi, sembra invece di essere fermi a un bel po’ di anni fa. Ovviamente non manca nulla ma, girovagando per le vie, si incontrano le donne che lavano i panni nel canale d’acqua lungo la strada, animali (asini e mucche) che vagano indisturbati per la città. E’ comunque emozionante confrontarsi con una realtà così diversa dalla nostra.
Nel pomeriggio visita al Leh Palace (il palazzo costruito dai sovrani buddisti molto simile al Potala di Lhasa), al Tsmepo Gompa, da cui si gode di una vista spettacolare sulla città, e a Shanti Stupa.
Ed è proprio in quest’ultimo luogo che assistiamo alla preghiera dei monaci buddisti. Rimaniamo affascinati dal loro canto intervallato dal suono del “tamburo” che crea nell’insieme un’atmosfera particolarmente suggestiva.
Oramai siamo a sera, stanchi della lunga giornata (praticamente siamo in piedi da 48 ore) ma felici di aver cominciato a vivere il nostro sogno ladakho.
Il giorno successivo partiamo per un tour di due giorni interamente dedicati alla visita dei monasteri situati nella zona attorno a Leh. Dopo circa due ore deviamo dalla strada principale per raggiungere il villaggio di Likir e visitare il suo monastero. La strada si inerpica lungo una valle caratterizzata da ampie coltivazioni di orzo. Il paesaggio è veramente stupefacente e arrivati al villaggio ci dirigiamo immediatamente al monastero. La prima sala della preghiera è veramente interessante; essa ospita i posti a sedere per il Dalai Lama ed è molto ricca di decorazioni.
Proseguiamo la nostra visita fino ad arrivare all’ingresso del museo dove incontriamo un monaco che ci saluta con un ampio sorriso. Ma il meglio deve ancora arrivare. Visitato il museo ricco di oggetti, manoscritti e decorazioni, entriamo in un’altra stanza dove troviamo un gruppo di quattro monaci intenti a realizzare un “mandala”, un’immagine che per la religione buddista rappresenta un aiuto per la meditazione e per il raggiungimento della consapevolezza di sé stessi.
Rimaniamo ad osservare la precisione e la tecnica con cui stanno tracciando i vari elementi; utilizzando dei veri e propri compassi di varie dimensioni, i monaci tracciano con una matita i segni che poi verranno marcati con una linea bianca ottenuta con l’utilizzo di un filo coperto da una polvere bianca. Il filo viene messo nella posizione voluta, ben teso e con un semplice pizzico viene lasciato il segno della trama del mandala.
Rimaniamo incantati ad osservare il lavoro di questi monaci, sempre disponibili a regalarci un sorriso quando incontrano i nostri sguardi.
Devo dire che la spiritualità che regna in questi luoghi è veramente palpabile anche senza comprendere completamente il significato di tutto ciò che vediamo.
Stiamo per terminare la visita quando incontriamo un altro monaco intento a riempire con del liquido dei piccoli vasi in metallo; la meticolosità, la pazienza e l’attenzione che questo monaco dimostra è veramente sorprendente.
Questi monasteri trasmettono una tranquillità e serenità che verrebbe voglia di fermarsi per riacquistare la capacità di apprezzare le piccole cose: la bellezza della SEMPLICITA’!
Riprendiamo il nostro viaggio in direzione Lamayuru. La strada in certi tratti è veramente difficile; il paesaggio che ci accompagna è estremamente arido e durante il percorso attraversiamo dei villaggi dove il mondo sembra essersi fermato a molto tempo fa.
Finalmente arriviamo a Lamayuru e via subito a visitare il monastero.

Visitando la sala della preghiera veniamo pervasi da un senso di mistero o di qualcosa di simile forse perché assistiamo alla preghiera di un monaco il cui rituale è accompagnato dal suono di campane, piatti….il tutto eseguito con rigorosa precisione contribuendo a creare un’atmosfera estremamente spirituale.
Terminata la visita ci sediamo su alcuni scalini per rilassarci un momento quando notiamo lo sguardo goloso di un bambino rivolto ai nostri biscotti: il piccolo monaco cerca di avvicinarsi e quando gli offriamo il nostro dolce ecco sbucare da alcuni vicoli circostanti altri bambini… chissà da quando ci stavano osservando! Dopo averci ringraziato con un meraviglioso sorriso, i piccoli monaci iniziano a giocare tra loro. La semplicità, il sorriso e la vivacità di questi bambini è disarmante. Rimaniamo ad osservarli per un po’ scambiandoci con loro dei sorrisi e qualche parola in modo molto semplice e spontaneo.
Questo viaggio ci sta facendo notare la grande fortuna che abbiamo noi occidentali; questo genera però anche tristezza pensando a quanto stiamo sempre più perdendo il piacere ed il gusto delle piccole cose.
Il giorno seguente assistiamo alla preghiera del mattino, la Puja; pur non comprendendo il significato dei rituali, la spiritualità della preghiera recitata pervade il nostro animo. Ci ripromettiamo, una volta a casa, di provare a conoscere almeno un po’ i principi che stanno alla base del buddismo. E’ stato per noi sorprendente vedere la religiosità delle persone che, continuando a pregare, percorrono il tragitto attorno al monastero più volte continuando a far girare le ruote delle preghiere.
Rientriamo a Leh fermandoci a visitare i monasteri di Alchi e Bangse; arrivati in città approfittiamo del tempo a disposizione per un giro esplorativo che ci regala un’emozione indescrivibile quando veniamo “assaliti” dal saluto gioioso Julay, Julay proveniente da quattro scuolabus pieni di bambini.
Ed ecco il giorno tanto atteso; si parte per il Markha trek un trekking di 5 giorni che si inoltra all’interno della valle del fiume Markha. Dopo aver fatto la conoscenza della nostra guida Sherab, del suo aiutante Tenzin e di Rinchen il “ponyman” addetto al trasporto dei bagagli, partenza per Chilling da dove inizieremo il nostro cammino; lungo la strada il paesaggio è fantastico, una valle stretta dove scorre il fiume Zanskar affluente dell’Indo. Arrivati a Chilling notiamo che tutti i pony, indispensabili portatori, sono tutti sulla sponda opposta del fiume e noi pensiamo ed ora cosa si fa? Ed ecco svelato il mistero; il collegamento con la riva opposta è garantito da una “cesta” in metallo in cui vengono caricate le persone, che scorre su un cavo ancorato sulle due sponde; la cesta viene tirata manualmente da alcuni uomini. Ovviamente la speranza è che durante il tragitto essi non perdano la forza altrimenti la cosa si farebbe veramente difficile.
Attraversato il fiume con questo “mezzo” non molto stabile ma comunque originale, iniziamo il nostro cammino assieme alla nostra guida che ci distanzia da subito facendoci sembrare delle vere “schiappe”, ma ci consoliamo nel pensare che camminiamo piano a causa della quota….la scusa regge!! Passiamo attraverso un villaggio attraversato da un canale d’acqua utilizzato dagli abitanti come irrigazione e come fonte di acqua corrente.
La calma e la serenità che sprigiona questo posto è veramente incredibile, ma ancora più strano è trovare una scuola elementare attiva che garantisce l’istruzione di base ai bambini di questi villaggi.
Il sentiero prosegue in dolce salita fino ad arrivare a Skiu dove è situato il nostro campo; troviamo già le nostre cose e il nipote della guida, Tenzin, che sta già montando la nostra tenda.
Dopo aver visitato il piccolo monastero che sovrasta questo villaggio è arrivato il momento del relax; non ci sembra vero di poter star seduti in questa splendida vallata a leggere il nostro libro in completa tranquillità.
Siamo convinti che trascorreremo dei giorni meravigliosi camminando liberi da stress, liberi da confusione, assieme a persone dalla grande umanità e semplicità!
Non possiamo fare a meno di fermarci ad osservare la bellezza che ci circonda avvolti da una meravigliosa sensazione di libertà; è come se le nostre ali, tenute chiuse per troppo tempo, all’improvviso si fossero aperte in tutta la loro maestosità.
Oggi abbiamo capito cosa provano le aquile a volare dove le porta il vento; ecco noi siamo così, liberi di muoverci in questa valle ove regna la pace e la fratellanza.
Decidiamo di allontanarci dal campo per esplorare le zone circostanti e arriviamo proprio nel punto ove lo scorso anno una frana provocata dalle violente e persistenti piogge ha portato via anche i sogni di un ragazzo italiano anch’esso voglioso come noi di vivere una bellissima esperienza….purtroppo non fu così!!
Dopo una notte abbastanza tranquilla iniziamo la seconda tappa del nostro trekking. Il sentiero si snoda lungo il fiume all’interno di una valle circondata da montagne spettacolari; il cielo è limpidissimo e se questo da un alto ci rallegra, scopriremo nel corso della giornata quanto sia faticoso camminare in pieno sole con un caldo soffocante senza nemmeno un soffio d’aria.
Lungo il cammino incontriamo della “tea tent” organizzate dalla gente del posto dove è possibile trovare qualcosa da bere e riposarsi un attimo; è ovviamente anche un modo per garantire alla gente del posto un piccolo guadagno visto che la loro unica fonte di sostentamento è costituita da quel poco che riescono a produrre durante i mesi estivi.
Compriamo dell’acqua che viene tenuta al fresco in una “cantina” costituita da un cunicolo interrato a cui si accede con una botola. Non possiamo perdere troppo tempo, così dopo un quarto d’ora siamo di nuovo in cammino. Il caldo è veramente soffocante; siamo però circondati da un paesaggio meraviglioso e quindi ogni momento è buono per fermarci a recuperare un po’ di fiato. Finalmente pausa pranzo: ci fermiamo in una tenda gestita da una famiglia con un bimbo piccolo di non più di 3‐4 mesi. E’ commovente vedere la serenità con cui questa ragazza lava i panni nel canale che scorre vicino alla tenda e si prende cura del suo bambino.
Dopo circa 7 ore arriviamo al villaggio di Marka, circondato da verdi campi d’orzo che danno un senso di relax e tranquillità.
Sempre spinti dalla curiosità di scoprire nuovi posti, decidiamo di andare a visitare il monastero, ma a metà strada la stanchezza si fa sentire e decidiamo così di tornare al campo e goderci un po’ di meritato relax. Domani ci aspettano altre 5 ore di cammino per arrivare a 4200m; è indispensabile recuperare le energie.
Il giorno seguente partenza per la terza tappa; lasciamo il campo di Markha alle 08.00 facendo subito gli ultimi (almeno speriamo) due guadi del fiume con la solita difficoltà di mantenere l’equilibrio visto la corrente molto impetuosa.

Proseguiamo e dopo un breve tragitto incontriamo il piccolo monastero di Tacha, costruito sulla cima di una roccia, con un ripido sentiero a zig‐zag che dalla base porta all’ingresso del monastero Siamo con il naso all’insù ad ammirare questa meraviglia, quand’ecco sbucare un monaco che velocemente comincia a scendere lungo il sentiero; è proprio quello che ci voleva per completare e rendere ancora più reale questa immagine da cartolina.
Ora il sentiero sale deciso fino a raggiungere un altopiano ove giace un villaggio; doverosa è una piccola sosta.
Siamo seduti ad ammirare queste distese di orzo, unica fonte di sostentamento per i pochi abitanti del villaggio che vi abitano stabilmente per tutto l’anno, quando ci accorgiamo che a fianco a noi ci sono alcune persone che parlano a turno con un uomo seduto su una panca. La nostra guida ci spiega che è un medico che attraversa tutti i villaggi della zona per visitare gli abitanti. Ed infatti ci accorgiamo che sta lasciando delle medicine di tipo naturale ad un uomo per poi passare a visitare un bambino ascoltandogli il polso. Dobbiamo dire che vedere di persona queste realtà così difficili ci ha veramente colpito; eppure le persone sono sempre sorridenti non solo con noi turisti ma soprattutto quando dialogano con i loro vicini e conoscenti. Si percepisce il legame che c’è tra loro e quel senso di comunità che noi sicuramente abbiamo perso. Proseguendo il nostro cammino il paesaggio cambia drasticamente: ai campi di orzo prende posto roccia, tanta roccia con il fiume Markha che scorre impetuoso.
Ci fermiamo per riposare ma anche per far passare i cavalli portatori delle nostre cose che nel frattempo ci hanno raggiunto e ci lanciano uno sguardo della serie….”ma dove andate che non ce la fate più”?
Vabbè, la vista del campo ci dà l’ultima spinta per arrivare alla nostra meta a 4200m…. sempre più in alto!!
Il silenzio della notte è rotto soltanto dal rumore del torrente, quell’acqua, che scorre senza mai fermarsi.
La mattina siamo di nuovo pronti; accarezzati ed incoraggiati da uno splendido sole partiamo verso l’ultimo campo percorrendo un sentiero che sale deciso, il paesaggio illuminato dalle prime luci è assolutamente unico.
Salendo abbiamo la sorpresa di vedere le stelle alpine che da noi sono una rarità ma qui si trovano a gruppi….fantastico!! Proseguendo abbiamo il piacere di ammirare la maestosità dello Kang Yatze (6400 m) con i suoi seracchi impressionanti, contornato da un cielo blu intenso. Non abbiamo mai visto montagne simili dai mille colori, dalle striature rossastre, dalle macchie verdi e marroni.
Sono così fantastiche che l’essere qui ad ammirarle in tutta la loro maestosità ci provoca una grande emozione; sì, ci si può commuovere dinanzi a tanta bellezza e armonia!!
Dopo una piccola sosta ripartiamo, il sentiero si fa più dolce ma il cammino è comunque faticoso; in lontananza intravediamo il percorso che domani ci porterà al passo Gomgmaru La il punto più alto del trekking. Per ora è meglio non pensarci e proseguiamo fino ad arrivare ad avvistare il nostro campo situato su un ampio pianoro dove scorre in mezzo il fiume Markha. Avvicinandoci al campo incontriamo un enorme gregge di capre e pecore.
Appartengono alla gente dell’ultimo villaggio della valle in cui siamo passati ieri che porta al pascolo il bestiame; si ferma qui per tutta l’estate vivendo in piccole costruzioni di mattoni e fango.
Durante il pomeriggio si alza un vento freddissimo, speriamo che finisca e che soprattutto la temperatura non scenda troppo durante la notte, già adesso comincia a fare un po’ freddo.
Alle 6.00 si cena, la solita abbuffata ma con sorpresa finale. Sherab ci ha preparato una torta al cioccolato con i nostri nomi scritti sopra. E’ stata una sorpresa veramente inaspettata che ci ha emozionato tantissimo. Non è facile descrivere a parole le emozioni che queste persone sanno trasmettere; con dei piccoli gesti e soprattutto con il loro meraviglioso sorriso aprono veramente i nostri cuori e ci fanno capire che le cose importanti della vita sono quelle legate alla semplicità e sincerità dei rapporti tra le persone. Bisogna far tesoro di questi insegnamenti e cercare di indirizzare la nostra vita verso questi principi.
Dopo una notte abbastanza difficile per il freddo intenso e per il brutto tempo, verso le 5.00 apriamo la tenda e scopriamo che durante la notte è nevicato e non ha ancora smesso. A colazione ci informiamo su come sarà la nostra giornata visto che dobbiamo raggiungere il passo a 5200m.
Sherab ci tranquillizza dicendoci che sicuramente il sentiero che porta al passo e la successiva discesa sono percorribili.
Alle 9.00 si parte! Il sentiero si fa subito severo e la fatica, dovuta anche all’altitudine, è tantissima!!
Il percorso spiana leggermente per poi “attaccare” gli ultimi 200 metri che mancano all’arrivo del passo sotto una fitta nevicata!!
Salendo gli unici rumori che sentiamo sono i nostri respiri, i nostri passi sempre più pesanti ed il tintinnio delle campanelle dei cavalli.
Dai che mancano pochi metri, una curva, un’altra curva, stop altri quattro passi, stop, gli ultimi 4 passi e ….arrivati!! che soddisfazione siamo a 5200 metri ma che disdetta essere quassù con questo tempo!!
Pochi minuti di sosta e poi giù per una lunga, lunghissima discesa che ci porterà dopo 6 ore alla fine del nostro trekking attraversando piccoli canyon, guadando torrenti, attraversando piccoli villaggi.
Giunti alla meta ci guardiamo e ci diciamo CE L’ABBIAMO FATTA!!
Arrivati a Leh andiamo direttamente in agenzia per i doverosi ringraziamenti e per verificare l’orario di partenza per la Nubra Valley. Qui ci dicono che c’è stato qualche problema nella richiesta dei permessi e l’escursione verrà pertanto spostata di un giorno.
Organizziamo per domani la visita ai monasteri di Hemis, Thiskey e Shey. Ci concediamo un’ottima cena in uno dei tanti ristoranti del centro e poi a letto per recuperare tutte le energie.
Come previsto partiamo per la visita ai monasteri; prima tappa Hemis.
Dalla strada principale ne parte una secondaria che sale lungo una stretta vallata fino ad arrivare al monastero. Si tratta di una costruzione veramente grande e ricca di fascino. Numerose sono le sale di preghiera che visitiamo ed esploriamo anche gli angoli più nascosti incontrando numerosi monaci nella loro quotidianità. Parte del monastero è in fase di ristrutturazione; notiamo che sono gli abitanti del villaggio, comprese le donne, a lavorare per la ristrutturazione.
Questo dimostra come sia forte il senso di comunità e la spiritualità che riempie la vita di queste persone. Dopo circa 2 ore ci dirigiamo a Thiskey; arrivati al villaggio la visita al monastero è davvero magnifica. Si tratta di uno dei più grandi complessi di tutto il Ladakh e scopriamo che al suo interno ci sono dei piccoli negozi, una scuola e persino delle camere in cui è possibile alloggiare. Cominciamo la nostra visita; nella prima sala di preghiera è stata realizzata una statua del Budda davvero impressionante non solo per le dimensioni (è alta più di 12m) ma soprattutto per la bellezza e la ricchezza di particolari.
Ma è la seconda sala che visitiamo che ci regala le emozioni più grandi; incontriamo un monaco con due piccoli monaci bambini, incuriositi dal treppiedi di Andrea e dalla sua macchina fotografica. Ci avviciniamo a loro e dopo aver scambiato qualche parola, accettano di farsi fotografare; sono talmente divertiti dalla situazione che con estrema spontaneità si prestano a farsi fotografare come dei modelli.
Terminata la visita ci dirigiamo verso Shey; la visita al monastero non è stata particolarmente interessante forse perché gran parte della struttura è in fase di ristrutturazione.

Il giorno successivo partiamo per la valle del Nubra valicando il Khardung La il passo carrozzabile più alto del mondo mt. 5606!
Per i primi i 20 km la strada è in ottime condizioni ma la giornata purtroppo è brutta, piove e salendo la pioggia si trasforma in neve trasformando il paesaggio circostante e rendendo più difficoltosa la salita. Gli ultimi 10 km per arrivare al passo sono assolutamente terribili …sembra di essere in barca in un mare tempestoso! Quando incontriamo macchine in senso contrario preghiamo per non cadere nel burrone….da paura davvero!
Arrivati in cima facciamo una breve sosta per qualche foto e poi proseguiamo per la lunga discesa che ci porterà nella valle del Nubra.
Durante il tragitto incontriamo delle tende di gente addetta alla sistemazione della strada, la carcassa di una macchina precipitata da chissà dove e tutt’intorno una fitta nebbia che mette tristezza e desolazione.
Giunti nel fondovalle, percorrendo una strada “accettabile”, ci dirigiamo verso il monastero di Summor concentrandoci solo sugli interni in quanto la pioggia ci impedisce di ammirare con attenzione l’esterno di questo grande monastero.
Terminata la visita proseguiamo verso il nostro camping per depositare le nostre cose nella speranza che il tempo ci permetta di fare qualche passeggiata esplorativa, speranza che risulterà vana.
Il mattino seguente ci svegliamo e ci accorgiamo che il cielo azzurro sta facendosi largo con fatica fra le nuvole; siamo contenti e fiduciosi che la giornata sarà grandiosa!!
Ci dirigiamo verso il monastero di Diskit, un complesso arroccato come sempre su una roccia, dove nella parte più bassa ci sono le piccole abitazioni dei monaci e nella parte più alta le sale della preghiera. E’ un monastero veramente antico e interessante con una vista spettacolare sulla valle del Nubra.

Il giorno seguente decidiamo di visitare il “Villaggio dei bambini Tibetani” situato in un paesino vicino a Leh. Il TCV (Tibetan Children Village) è un’associazione umanitaria, quasi interamente dipendente dalla generosità degli altri, che si occupa di educare e crescere fisicamente e culturalmente i piccoli a loro affidati.
Il motto dei TCV è: “gli altri prima di te stesso”, che rappresenta la filosofia di base dei programmi che inducono a guardarsi intorno per aiutare coloro che sono in stato di necessità. Ogni anno ai TCV giungono moltissime richieste di aiuto, soprattutto per frequentare le scuole. L’ideale sarebbe ammettere tutti ma non è finanziariamente possibile.
La storia dei TCV nasce nel 1950 in conseguenza dell’occupazione del Tibet da parte della Cina.
Dopo anni di difficile convivenza (più di un milione di tibetani morirono) nel 1959 Sua Santità il Dalai Lama chiese all’India asilo politico e quindi circa 100.000 rifugiati lo seguirono in esilio; tra questi c’erano migliaia di bambini bisognosi ed orfani, vittime della guerra.
Il Dalai Lama realizzò da subito che il futuro del Tibet e del suo popolo dipendeva dalle giovani generazioni e che l’unico modo per tramandare la loro cultura era legata alla scolarizzazione.
Vedendo le pessime condizioni in cui i bambini vivevano e con lo scopo di porre fine alla loro sofferenza, suggerì di creare i centri di accoglienza.
Durante la nostra visita abbiamo avuto l’occasione di conoscere l’Ing. Giancarlo Morandi presidente dell’Associazione Onlus Italian Amala (www.italian-amala.com) che dal 2007 sostiene attivamente vari progetti fra i quali adozioni a distanza, progetto elettricità e molti ancora.
Con una persona del centro visitiamo l’intero complesso; entriamo nelle aule dove sono in corso di svolgimento le lezioni e rimaniamo piacevolmente sorpresi dalla felicità che questi bambini esprimono con il loro sorriso.
Visitiamo varie classi a partire da quelle dei più piccoli per arrivare a quelle dei più grandi. Il centro ha anche un’aula computer completamente attrezzata e vari laboratori.
Ovviamente la nostra presenza all’interno delle aule crea un momento di distrazione a non appena usciamo la lezione riprende normalmente.
Scopo del centro è quello di garantire sia l’istruzione di tipo moderno (studio della lingua inglese, dell’uso del computer, ecc.) ma soprattutto far capire loro quanto siano importanti le loro origini e le loro tradizioni e quanto sia fondamentale mantenere e conservare la propria identità tibetana per la costruzione del loro futuro. Per ultimo visitiamo le “case‐famiglia”; si tratta di 12 casette dove vivono circa 20 bambini tra i più piccoli con un’unica mamma adottiva che si occupa di loro. Una volta terminati gli studi, attorno ai 16 anni, il centro continua a sostenerli nel proseguo dell’istruzione all’università.
L’aspetto che più ci ha colpito è il senso di famiglia che si respira all’interno del centro; è con questa piacevole emozione e con un po’ di tristezza che lasciamo il centro sicuri che continueremo a sostenere la loro importante attività anche da casa.

Il giorno seguente partiamo per la nostra ultima escursione; trascorreremo tre giorni tra il lago Tsmoriri e il lago Tsokar. La strada è molto buona, a parte qualche tratto, e il paesaggio veramente unico! Dopo circa 6 ore arriviamo al passo da dove intravediamo il lago Tso Moriri lievemente salmastro circondato da ampie vallate erbose ai piedi di monti arrotondati ma davvero elevati. Arrivati al campo, decidiamo di andare al villaggio di Korzok situato nelle vicinanze; visitiamo il monastero ed assistiamo alla preghiera nella sala molto affollata dai monaci intenti a ripetere in continuazione i loro mantra, dalla gente del posto e da qualche raro turista.
Noi decidiamo di non disturbare oltre e decidiamo di andare a esplorare il villaggio anche se fa molto freddo a causa del forte vento!! La sensazione che ci lascia questo posto è di povertà assoluta, sembra impossibile che si possa vivere in queste condizioni. Saliamo su una collina che sovrasta il villaggio da cui si gode una vista meravigliosa del lago; uno specchio d’acqua di un azzurro incredibile circondato da splendide montagne. La notte è stata molto difficile a causa del vento fortissimo e del freddo pungente!

Il mattino seguente ci dirigiamo verso il lago Tsokar; valicato il passo Tanglang La arriviamo all’accampamento completamente isolato in un pascolo disabitato da dove si può ammirare il lago maestosamente circondato da monti leggermente imbiancati.
La sera ci fa capire che questa è l’ultima meraviglia che vediamo essendo molto vicino il giorno della partenza per il lungo ritorno a casa; ci assale un po’ di nostalgia consapevoli che saremo costretti ad abbandonare questo paese, questa gente, questi paesaggi, queste emozioni per tornare ahimè alla vita frenetica di tutti i giorni piena di regole, vincoli che rendono tutto più complicato. Fra tutti i viaggi che abbiamo fatto questo è sicuramente il più bello non solo per i magnifici e imponenti paesaggi ma soprattutto per quello che la gente ci ha trasmesso.
Mentre per la prima volta dopo 20 giorni la nostra mente è immersa in questi tristi pensieri sopra di noi tre bellissimi rapaci volteggiano silenziosi facendosi cullare dal vento per poi allontanarsi da noi con un rapido colpo d’ala emettendo un verso che spezza questo meraviglioso silenzio: sembra un saluto ed un augurio a ritornare!
L’idea di ritornare è già nella nostra mente e nel nostro cuore; vogliamo rivivere questi momenti di assoluta incredibile serenità.
Ciao Ladakh, grazie e….a presto!!!!

Andrea&Manu
andreamanu1@virgilio.it


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