Etiopia 2012


diario di viaggio dal 15 al 31 gennaio di Fabio L.

EtiopiaFatto il classico giro del Nord, un po’ troppo di corsa, ma il tempo era limitato: Addis Ababa, Lago Tana, Gondar per il timkat (festival dell’epifania cristiano-copta), Simien Mountains National Park, Axum, le chiese rupestri del Tigray, Lalibela.
Piaciuto tutto tantissimo… Gente, luoghi, clima e persino la terrificante injera! 🙂

Preso i voli solo 15 giorni prima della partenza a 415 euro con Gulf Air, la compagnia di bandiera del Bahrain. Partiamo da Malpensa alle 9 di domenica 15 gennaio con airbus A320, dopo 5h30′ atterriamo a Manama, capitale del Bahrain. Quasi altre 5h di attesa e ripartiamo per Addis Abeba su un airbus A330 (circa 3h30′ di volo) su un aereo che pare di sole donne, curiosissime per la nostra presenza, siamo tra i pochissimi faranji (stranieri). Atterriamo alle 4.25 ora locale (+2 rispetto all’Italia). Voli tranquilli, aerei vecchiotti, servizio così così (Etihad è un altro pianeta!)…

16 gen: Addis Ababa
Arrivati ad Addis Abeba c’è da fare il visto nell’ufficio “visa on arrival” prima di passare al controllo documenti al costo di 17 euro o 20 usd, poi bisogna compilare un form d’ingresso (si trova sui tavoli di fronte all’immigration). Il controllo doc è rapido, si è immortalati da una foto fatta dal funzionario.
L’attesa dei bagagli è invece infinita, ne approfitto per cambiare 200 euro a testa, il cambio è buono, 22.06 birr per 1 euro e nessuna commissione, quello ufficiale. Inizio a capire che qui sono mediamente onesti e non provano l’imbroglio.
Aspettiamo che schiarisca un po’, sono quasi le 6, prendiamo un ottimo caffé al bar dell’aeroporto per una cifra ridicola ed una bottiglia d’acqua. Io sono disidratato, ho patito qualche cosa mangiata a Bahrain o semplicemente gli sbalzi di pressione degli aerei. Ho mal di testa e un po’ di nausea, ma passerà abbastanza in fretta.
Condividiamo il taxi con una tedesca che scende molto prima di noi e ci accordiamo per 270 birr in tutto. I taxisti sono abbastanza rigidi: non scendono molto dai 350 birr (un furto!) richiesti all’inizio.
Il tragitto fino al Taitu Hotel è abbastanza breve, non c’è traffico, il taxista è corretto, non ci chiede mancia o altro. Sfodero (ed imparo) le mie prime parole scoordinate di amharico maccheronico. Arrivati al Taitu, Giovanna (che viene da due settimane nel sud Etiopia e condividerà con noi questa parte di viaggio) è lì che ci aspetta e passiamo la mattinata a chiacchierare nel giardino interno dell’hotel.
Facciamo anche 2 passi nel quartiere “piazza”, non c’è così tanta confusione come mi aspettavo ed il traffico è sostenibile, anche se i gas di scarico inceneriscono la gola. Ne approfittiamo per comprare il volo Lalibela – Addis Abeba per il 29 gennaio direttamente all’ufficio dell’Ethiopian, vicino al Taitu: paghiamo 51 euro a testa, ottimo prezzo in raffronto a quanto costa su internet (3 volte tanto).
Prendiamo possesso della camera, pulita e accettabile, anche se un po’ decadente. C’è l’acqua calda, un cesso semovente e paghiamo 312 birr la doppia (è caro ma ad Addis è così). Girando scopro il Baro Hotel, dietro al Taitu, dove prenotiamo per il 29 notte: il Baro merita molto di più del Taitu, ha un bel giardino interno, molto curato, le stanze sono decisamente migliori e ben mantenute. Il Taitu ha il solo vantaggio di avere le agenzie di viaggio concentrate nel cortile e 20 min di internet gratuiti con postazioni fisse, oltre al wi-fi gratuito (ma non sono mai riuscito a connettermi).
La prima impressione di questo paese è decisamente positiva, la gente non è aggressiva, mediamente timida ed onesta. Ci accordiamo col Red Jackall al Taitu per il jeep tour a Nord, 140 usd al giorno, da dividere in 4 (c’è un messicano con noi, giornalista, che ho contattato sul forum della Lonely Planet). Ceniamo insieme al vicino k-corner, primo impatto con l’injera (impasto di farina di teff leggermente fermentato di aspetto villoso e gusto acidulo, poco invitante da solo ma molto nutriente e base di ogni piatto) insieme ad uno spezzatino di carne (lamb tibs). Non è malaccio, si può sopravvivere, e ne farò grandi scorpacciate in perfetto stile habesha (locale). Caffé sempre squisito, imparagonabile a quello italiano.

17 gen: Bahir Dar
Partiamo alle 6, usciamo velocemente da Addis Ababa, non c’è traffico e la classica periferia sconfinata di baraccopoli che mi aspettavo non esiste affatto, siamo infatti subito nella foresta (dove i locali vanno a correre). Una piacevole sorpresa.
Il paesaggio è subito molto bello, ondulato e di un colore prevalente dorato (campi di teff, il cereale da cui si ricava la farina per l’injera). Ci fermiamo per colazione dopo un paio d’ore di viaggio in un hotel per turisti (prendo un’omelette, il pane è tipo brioche: leggermente dolciastro). Ci fermiamo per due foto in un bel punto panoramico sulla valle (Abay Desert) entro cui stiamo scendendo lungo la ripida scarpata principale (è una caratteristica morfologica costante: altopiani sub-orizzontali separati da scarpate brusche più o meno rimodellate). Passiamo dalle gole del Nilo Azzurro e c’è un grave incidente: un bus della compagnia Skybus, che ha sede proprio al Taitu, è precipitato lungo la scarpata e ha preso fuoco. Pare ci siano 45 passeggeri dei quali solo 5 sopravvissuti. E’ abbastanza impressionante e suscita la commozione di Worku, il nostro autista.
Pranziamo in un hotel lungo il percorso (mi pare a Debre Markos) e prendo injera (ovviamente), shiro (crema di fagioli rossa piccante) con carne. Arriviamo a Bahir Dar nel tardo pomeriggio, vediamo due hotel prima di scegliere il Wudie, ottima sistemazione a 250 birr la doppia con bagno in camera, acqua calda ed una buona caffetteria al primo piano. C’è qualche zanzara in giro, ma non sono aggressive. Metto la zanzariera perchè in stanza ce ne sono un paio e siamo poco sotto i 2000 m. Cena al Bahir Dar Hotel segnalato dalla guida. Mediamente spenderemo circa 50 birr a testa per mangiare e bere in quasi tutte le occasioni. La birra (Dashen, St George) è buona. Non ho ancora provato i succhi di frutta (che fanno bella mostra al bar di fronte l’hotel e paiono spettacolari).

18 gen: lago Tana
Partiamo per l’escursione in barca sul lago Tana, organizzata il giorno prima tramite l’autista (anche se non bisognerebbe farlo perchè a mio parere si finisce per pagare di più) a 150 birr a testa per mezza giornata (che in realtà poi sarà quasi intera). Vediamo gli ippopotami a bagno ed alcuni monasteri. Costano tutti 100 birr (decisamente caro!), quindi decidiamo di saltare il primo (Debre Maryam) e passiamo direttamente al secondo sull’isolotto davanti Bahir Dar (Kebran Gabriel). Non granché l’esterno: una struttura a pagoda circolare; in restauro l’interno, quindi non si può entrare. Un monaco molto gentile ci spiega diverse cose e ci porta a visitare il piccolo museo. Sulla via per salire al monastero (dove le donne non possono entrare) si incontrano alcune capanne e gente che arrostisce/tosta fagioli.
Dopo alcune discussioni al telefono strappiamo la visita alla penisola di Zege, che pare non fosse prevista, per il monastero più importante e più visitato dell’area (Ura Kidane Meret). La guida, obbligatoria, è un ragazzo simpatico con cui imparo qualche parola in amarico in più, scambiando qualche battuta con i venditori alla bancarelle lungo la via. Tutti sono molti gentili e non invadenti: mi aspettavo molto peggio. Il monastero, sempre a pianta circolare, all’interno è bello, con affreschi dai colori vividi raffiguranti scene del cristianesimo. Una curiosità: tutti i personaggi rappresentati sono di pelle bianca, perchè i neri sono considerati cattivi, e sono neri solo quelli che bruciano all’inferno. Gli etiopi non si considerano di pelle nera come gli altri africani e tengono molto orgogliosamente a questa loro carnagione chiara che deriva dal mix etnico con arabi, egizi e ebrei. E non si può negare che i tratti somatici fini e questo incarnato ambrato ne facciano un popolo molto bello.
Rientriamo a Bahir Dar nel pomeriggio. Dalla penisola Zege ci vuole un’ora abbondante, forse 1h e mezza ed il lago si increspa un bel po’ (attenzione a non tardare troppo il rientro: le barchette ondeggiano parecchio!).

19 gen: Gondar
Partiamo per Gondar dopo che nella notte ci sono stati movimenti anomali e rumorosi per le scale/stanze dell’hotel, forse per via del timkat (festa dell’epifania ortodossa). A Gondar sale con noi un ragazzino che ci guida all’hotel che ovviamente costa carissimo (50 usd) perché pare che tutto il resto degli alberghi siano occupati, ma in realtà non è così. Il nostro compagno di viaggio messicano Temoris, da esperto viaggiatore, trova infatti a 2 passi il Gorezen Hotel (300 birr la doppia con bagno in comune) pulito, che va benone. Grazie a lui, e a lui solo, risparmiamo un sacco di soldi (anche se io avrei dormito in tenda, che ho nello zaino, piazzata a 150 birr sul tetto dell’hotel, come d’accordo con i gestori). Il timkat è un casino per le strade, processioni canti e balli tradizionali ovunque, ma si riesce sempre a camminare e prendere posto senza grossi problemi, con un occhio allo zaino. Vengono portati in processione i tabot, ovvero le tavole dei 10 comandamenti. Per pranzo saliamo su un rooftop e guardiamo dall’alto la processione, molto meglio così. Evitiamo di buttare un bel po’ di birr per l’ingresso al palazzo reale e per cena andiamo in un locale tradizionale molto carino (Abesha Kitfo) e ci sediamo al tavolo con un gruppo di giovani ragazze di Addis Ababa al primo anno di università a Gondar, molto dolci e capaci di un ottimo inglese (ovviamente!). Ci portano ad assistere alle preghiere della notte ai bagni di Fasiladas dove, tra ceri e candele accese, la gente si raduna in preghiera per tutta la notte fino al culmine della festa che avviene la mattina del 20 con il bagno nella grande vasca (in cui ogni anno qualcuno ci lascia le penne). E’ stata un’esperienza molto interessante e diversa dal solito, un’atmosfera particolare che non è facile ritrovare.

20 gen: Debark
Avremmo dovuto restare lì tutta la notte, invece siamo tornati in hotel con un bajaj (tuctuc), dormito qualche ora, e ritornati ai bagni verso le 5 quando però tutta la gente (e soprattutto molti turisti dei viaggi organizzati) già aveva occupato le gradinate. Con l’aiuto di 3 delle ragazze conosciute la sera prima siamo riusciti ad infilarci in una gradinata stracolma di turisti senza però poter raggiungere il resto del gruppo nell’altra gradinata ancora più affollata. Quindi la bella atmosfera della notte, si è bruscamente troncata. Peccato, non avremmo dovuto tornare a dormire in hotel.
Dopo aver assistito al bagno nella vasca, che ricorda il battesimo di Gesù e conclude il timkat, andiamo a pranzo con le 3 ragazze e ripartiamo per Debark, porta d’ingresso del Simien Mountain National Park. La strada è abbastanza breve e molto bella. Trovare una sistemazione a Debark è abbastanza difficile per via della scarsa disponibilità di posti e del numero elevato di gruppi che prenotano per trekking. I prezzi sono ovviamente alti. Poi sempre la solita storia del corrispondente locale che prova a trovarci una sistemazione per forza a prezzo maggiorato. Alla fine troviamo comunque una bella stanza con acqua calda a 385 birr la doppia (Hotel Lobelia). La cittadina non è niente di che: una strada polverosa la attraversa in linea retta mentre il villaggio vero e proprio si sviluppa a monte e a valle di essa.

21 gen: Simien
Partiamo per l’escursione nel parco pagata il giorno precedente all’ufficio del turismo (i prezzi sono fissi: 90 birr a testa, più auto, scout e guida obbligatori per un totale di 190 birr circa a testa). Il paesaggio è magnifico come sempre ma forse un po’ sopravvalutato dalla guida e dai feedback, almeno per quella minima parte che abbiamo visto noi. Facciamo un percorso a piedi di circa 1-2 orette con guida e scout armato (del tutto inutile ma tant’è!) e incontriamo diversi gruppi di babbuini gelada, una specie endemica di qui e presente solo in Etiopia. Unica scimmia completamente vegetariana, passa il suo tempo a scavare nella terra in cerca di radici. Pare che abbia sviluppato un grande senso del vivere in comune, con una diligente spartizione dei compiti. La passeggiata si svolge sul ciglio dell’impressionante scarpata che delimita il vastissimo altopiano ondulato dei Simien. La vetta principale (Ras Dashen, oltre 4500 m) si riduce ad una collinetta più o meno equiparata alle sue vicine, quindi niente picchi o vette stupefacenti. E’ invece davvero notevole il baratro che si apre dalla scarpata principale alla “pianura” sottostante. Tra la flora endemica si trova la rosa abyssinica, una rosa selvatica dal fiore bianco (tipo la nostra rosa canina). Numerosi alberi di erica e tanto timo selvatico molto profumato.

22-23 gen: Axum
Partiamo presto da Debark, ci toccano 6-7 ore di viaggio per raggiungere Aksum via Shire, l’ultimo tratto è asfaltato e si fa velocemente. Troviamo alloggio all’hotel Ethiopis (accanto all’Africa hotel), buona sistemazione per 200 birr la doppia, dopo aver visto il Tropicana che ne chiedeva 300 ma scendeva a 200 ugualmente. Aksum è una cittadina ordinata e pulita, non polverosa e dunque abbastanza piacevole.

Paghiamo l’ingresso al sito archeologico delle famose stele di Aksum e ingaggiamo una guida ufficiale (mi pare sia 250 birr al giorno). E’ uno studente molto preparato e disponibile, che ci spiega un sacco di cose sull’ascesa/declino dell’importante e vastissimo impero aksumita (che io non ricordo più, ovviamente) e sulla famigerata quanto contraddittoria leggenda della regina di Saba. Gli lasceremo poi una mancia di 10 birr a testa (mi pare). Visitiamo prima una piccola stele con l’iscrizione  in 3 lingue (ge’ez, greco e sabeo) di Re Ezana, conservata al riparo dalle intemperie in una capanna sorvegliata, quindi le tombe dei Re Kaleb e Gebre Meskel ed infine, prima del pranzo, i bagni della regina di Saba, dove pare sia annegato qualcuno proprio qualche giorno fa durante le celebrazioni del timkat. Pranzo con uno squisito succo di frutta al Nati Juice e lunga visita al complesso delle stele settentrionali ed al museo. Ceniamo al Millenium cafè: io solito piatto etiope ma la pizza è grande e pare abbastanza buona.

24-25 gen: Tigray
Partiamo da Aksum per visitare il sito di Yeha, uno dei primi insediamenti dell’area (senza poi entrare per la solita richiesta esorbitante), e poi il monastero di Debre Damo sulla strada per Adigrat, inoltrandoci nello splendido paesaggio arido, polveroso e colorato del Tigray. Il monastero è situato sulla sommità pianeggiante di una tipica mesa arenacea, caratteristica dominante del paesaggio di questa regione. L’accesso, dopo un scalinata abbastanza faticosa per via del caldo e del sole accecante, avviene attraverso una parete verticale di circa 15 m, o qualcosa di più, che bisogna superare con l’ausilio di una corda e di un imbrago artigianale (in pelle di capra sgualcita) calato dall’alto, per nulla facile (le donne non sono ammesse). Salgo con la mia solita goffaggine ma senza grossi problemi, per quanto sia faticoso e pericoloso, soprattutto grazie all’aiuto dall’alto. Per l’ingresso si pagano 150 birr. La chiesa all’interno è interessante, con libri antichi e affreschi, ma ciò che la rende speciale è la sua posizione spettacolare. Sulla mesa subpianeggiante sorge il villaggio dei monaci, casette in tipici blocchi litoidi. Alcune vasche scavate nell’arenaria fanno da cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, unica fonte di approvvigionamento idrico. Visitiamo un’abitazione di due bambini, molto spartana, ma accogliente, disposta su due piani che molto orgogliosamente ci mostrano. Regaliamo qualcosa (tipo una biro), ma alla fine ci chiedono anche dei soldi. Non si fa nulla per nulla qui. Ora tocca scendere dalla falesia, il monaco chiede la mancia, che rifiutiamo di dare visto l’ingresso esoso al monastero. Mancia non data scopriremo che vuol dire che il precario imbrago, che dovrebbe sostenere il peso di chi scende, non viene teso apposta e questo mi costerà caro, perchè a quasi 3 metri da terra le braccia smettono di far presa sulla corda e perdendo l’appiglio sui piedi casco giù come un sacco di patate (cit.). Riporto solo qualche escoriazione superficiale ad entrambe le braccia e all’anca destra, ma sono ancora tutto intero (praticamente indistruttibile). Lavo le ferite con acqua minerale e sapone e cerco di farle seccare al sole e all’aria dell’auto in cammino, senza prender polvere.
Pranziamo tardi ad Adigrat in un bel ristorante tipico (un po’ caro, 100 birr invece dei soliti 50) e poi via verso Hawsien, nella regione di Gheralta, incastrata in un paesaggio magnifico. Nella polverosa cittadina, sperduta e persa nel tempo, troviamo alloggio in un hotel (di cui non ricordo il nome) accanto al Turist Hotel, pieno. L’hotel è nella parte nuova della struttura, molto carino, stanze grandi con bagno, tutto nuovissimo al costo di 250 birr. Niente cena, troppo tardi e non ho fame.

Colazione in hotel a Hawsien (caffé e pane). Prima della partenza, fissata per le 9, visitiamo il mercato della polverosa cittadina. C’è tutto, dalla frutta agli animali, qualche foto senza richiesta di soldi, un bel clima cordiale e tanta curiosità. Partiamo in jeep per un paio di chiese del gruppo di Gheralta, facilmente accessibili in macchina (strade sterrate e polverose), in un paesaggio maestoso, arido e caldo, dai colori accesi, di arenaria rossastra a strati orizzontali (e laminazione incrociata!). La prima chiesa è chiusa e risparmiamo 100 birr (il solito furto), nella seconda chiesa ci tocca l’obolo, l’interno è carino ma niente di imperdibile. Raggiungiamo Wukro per pranzo, una cittadina ordinata, e ci rechiamo presso un’altra chiesa semimonolitica (costruita modellando l’arenaria), ma decidiamo di non entrare.  Si riparte per raggiungere Mekele, lasciando la strada sterrata e prendendo quella principale, asfaltata e in ottimo stato. Mekele è una grande città universitaria, capitale del Tigray. Alloggiamo al Hatse Yohannes Hotel (230 birr la doppia, colazione inclusa e internet gratuito, ma un solo terminale). Ceniamo insieme all’autista in un ristorantino vicino all’hotel e ci congediamo dal messicano che da domani proseguirà da solo per la Dancalia.

26-27-28 gen: Lalibela
Partiamo da Mekele dopo la colazione in albergo (pane, burro e marmellata, inclusa nel prezzo) e ci tocca un lungo tragitto fino a Lalibela, metà asfaltato e l’altra metà sterrato. Pranziamo a Korem (i soliti tibs), un luogo carino vicino al lago Ashenge, il paesaggio è sempre magnifico, scolliniamo un paio di volte salendo oltre 3000 m. Arriviamo a Lalibela verso le 5 del pomeriggio. La cittadina situata sul crinale di una montagna a circa 2600 m, appare subito polverosa e disordinata, con molto procacciatori e tanti rompipalle, quindi a prima vista non mi piace per nulla. Scegliamo l’hotel Asheton dopo aver scartato il Bluelal, la stanza doppia costa 300 birr. Probabilmente in altri tempi era ben curato con il giardino interno e le camere ben arredate, ora un po’ trasandato soprattutto nei servizi ma pulito. Ceniamo al Bluelal, io prendo un buon piattone di injera con diverse portate di carne (40 birr) di cui non ricordo il nome. Il ristorante del Bluelal è molto accogliente ed il cibo buono (non è ovunque così a Lalibela, essendo un posto molto turistico. Il nostro autista che ha cenato altrove ci racconterà di essere stato male nella notte).

Colazione in hotel, pane burro e marmellata con il peggior caffé di tutta l’Etiopia (circa 25-30 birr a testa). In banca a cambiare (22.73) e poi alla festa di S. Giorgio, un timkat in miniatura. Danze tradizionali e processione. Fa un caldo porco al sole. Qui a Lalibela sono in tanti quelli che si attaccano come mosche raccontando tristi vicende e chiedendo soldi. Insomma, quando qualcuno sembra solo voler parlare in realtà nasconde un secondo fine. Beviamo un ottimo caffé al Lalibela Hotel (carino, 350 la doppia), dove alloggia l’autista e poi partiamo con la macchina per la chiesa di Yehmrehanna Kristos. Il percorso di circa 45 km prevede un buono sterrato per i primi 30 mentre gli ultimi 15-20 km sono in pessimo stato. Il bivio è in corrispondenza di un bel villaggio. La chiesa, che si raggiunge in circa 15-20 min a piedi seguendo un percorso a scalini, costa 150 birr a testa ma è davvero molto bella, incastrata entro un’ampia caverna (costruita, non ricavata dalla roccia, insolito qui!) nelle rocce basaltiche a fessurazione colonnare. Si tratta di un edificio in stile axumita, con strati alternati di legno e pietra. Dentro la grotta ci sono tumuli, tombe e resti di scheletri di egiziani ed ebrei, in parte mummificati, venuti qui a morire, e la tomba del re Yehmrehanna Kristos (che era anche sacerdote). Ovviamente una guida non ufficiale ci si è accollata raccontandoci la sua triste storia (in una rissa è stato accoltellato ad un braccio e ne ha perso la sensibilità) e alla fine decidiamo di lasciargli 30 birr. Rientriamo a Lalibela caricando in macchina una giovane famiglia il cui piccolo bambino pare abbia dei problemi e deve recarsi all’ospedale. Ceniamo con l’autista al Blulal. In Etiopia il mercoledì ed il venerdì sono giorni in cui si mangia esclusivamente vegetariano per cui condivido con lui l’injera veg (non ricordo il nome locale) accompagnata da diverse e squisite portate: ceci, spinaci, shiro (crema di fagioli), verdura bollita. Sosta a bere il famoso tej (idromele: fermentato di mele simile al sidro) fatto con il miele e servito in una specie di alambicco, in un locale di danze tradizionali. Prendiamo quello di media gradazione, il gusto è abbastanza schifoso alla prima golata, ma poi va giù e si sente anche (sarà un 8 gradi). Ci congediamo quindi con l’autista a cui regalo due magliette ed una mancia enorme di 300 birr a testa.

Colazione all’Unique rest. Il locale si trova di fronte all’hotel, è tipo un dhaba indiano e la sua segnalazione sulla lonely è orgogliosamente riproposta sull’insegna (“recomended by farngi”, i faranji sono gli stranieri in amarico). Il caffé è discreto, il pancake al miele ottimo (hanno solo questo o porridge, niente uova, finite). La famiglia che lo gestisce è anche molto simpatica. Poi all’Ethiopian Airlines per confermare il volo del giorno seguente ed inizia il giro delle chiese iniziando dal gruppo nord-occidentale. Le strutture monolitiche ricavate interamente nella roccia sono davvero un’opera d’arte notevole, anche se manca un po’ di atmosfera per le orribili protezioni dalle intemperie installate dall’unesco e per la presenza massiccia di turisti in gruppi organizzati (particolarmente inquietante è il numeroso gruppo di hong kong che vedremo all’aeroporto!).
Pranziamo al Lalibela hotel (shiro poco speziato su enorme injera e doppia birra) aspettando che riaprano le chiese alle 2. Passiamo ora al gruppo sud-orientale in cui le chiese sono meno imponenti ma forse più raffinate e congiunte da un dedalo di tunnel e stretti passaggi nella roccia (riolite prevalente). Infine visitiamo la chiesa più famosa, quella di S. Giorgio (Bet Giyorgis), considerata il capolavoro di Lalibela e di tutta l’Etiopia, costituita da un unico plinto alto 15 m a forma di croce greca sul tetto. Alcuni corpi mummificati si trovano nella caverne attorno alla chiesa. A cena torniamo all’Unique rest, tibs con injera, ottimi e molto piccanti (come piace a me!).

29 gen: Addis Ababa
Scrivo dall’aeroporto di Lalibela (il costo del taxi/minibus è 70 birr a testa, fixed rate, e dista mezzora buona dalla città) dove c’è un gruppo assurdo e chiassoso di hongkonghesi in coda che sembrano marziani. Il volo (bimotore a turboelica), pagato circa 51 euro, proviene da Aksum e fa scalo ancora a Gondar prima di giungere ad Addis Ababa. Atterriamo puntuali. Il clima nella capitale è sempre piuttosto fresco, si sta bene anche col sole che picchia. Raggiungiamo il Baro hotel a Piazza con un taxi (50 birr a testa contrattati), la stanza da 3 costa 340 birr ed è accogliente, grande e pulita, anche se dal lavandino scende solo un filo d’acqua. Pranziamo al solito k-corner vicino al Taitu, ottimo ristorante, prendo injera con tibs, buonissimi (che faticherò un pochetto a digerire, tant’è che la sera salto cena). Con un minibus, che è un mezzo di trasporto capillare, veloce e molto economico (bisogna solo trovare quello giusto!), ci rechiamo nei pressi del mercato (4 birr in tutto). Al mercato, che di domenica è a mezzo servizio, non troviamo un granché e con l’aiuto di un signore che si offre di accompagnarci (di cui io diffido ma che si dimostrerà senza secondi fini… come si fa a capirlo prima?!) troviamo alcuni negozi di tessuti tradizionali. Non sono quello che cercavo e compro solo dei sali da bagno (così mi pare di capire!) da una signora somala al mercato, giusto per darle dei soldi, mi stava simpatica. Non ci sono spezie o altre cose interessanti e tanto meno il caffé. Dopo aver cercato invano il minibus per tornare a piazza, troviamo un taxi che ci porta al Tomoca, una torrefazione piuttosto famosa e segnalata sulla guida. Ci precede il solito gruppone di turisti honkonghesi marziani, lo stesso di Lalibela. Prendiamo un caffé squisito al banco, compriamo 3 kg di caffé in confezioni da mezzo kg (165 birr al kg, caruccio direi!) e appena fuori compro tazzine e caffettiere della “cerimonia del caffé” (che qui fanno su richiesta con fiori ed incenso) da regalare, pagando tutto solo 100 birr.
Per cena (io non mangio nulla) ci incontriamo con una ragazza spagnola con cui condivideremo il taxi della notte per l’aeroporto, e spendiamo gli ultimi birr in un sala da jazz molto raffinata attaccata al Taitu. Quando rientriamo al Baro la musica per le strade è ancora molto alta e la gente in giro, di ogni tipo, è parecchia. Poche ore di sonno (circa 3) e alle 2.30 del mattino il taxi blu lada è puntualissimo. Salutiamo Giovanna che prosegue il suo viaggio e con una lentezza allucinante (tipica di una scassatissima vecchia Lada, io ne so qualcosa!) ci dirigiamo verso l’aeroporto, dove la ragazza spagnola parte con l’Egypt Air per Madrid ed io trovo internet wi-fi gratuito ed anche abbastanza veloce per caricare qualche foto su facebook e mandare qualche mia (rara in questo viaggio!) notizia.

30 gen: Bahrain
Partiamo con 1 ora di ritardo con un vecchio A340, atterriamo a Bahrain tardissimo e tra richiedere il full board dalla Gulf Air, sbrigare tutte le formalità doganali (lentissimi), aspettare lo shuttle service per l’hotel che ci hanno assegnato (dovevamo tornare il 31 ma hanno soppresso il volo per cui rientro a Bahrein anticipato al 30 con pernotto a spese Gulf Air) si fa ora di pranzo. Però che hotel! Per noi è un lusso spropositato, una stanza doppia a testa, con vasca da bagno e buffet ricchissimo (i dolci poi sono squisiti!). Manca solo internet (c’è ma a pagamento :-)). Dopo aver scofanato l’impossibile, da bravi italiani, ci facciamo due passi a Manama. Siamo nella zona degli hotel, lontana dal centro e dal suq e vicina al centro di studi islamici ed alla nuova moschea, non c’è molto da vedere e siamo piuttosto piallati. Quindi rientro in hotel, cena, colazione e partenza puntuale per Malpensa con A320 nuovo (circa 6h30′). A Milano ci accoglie la neve…

Qualche nota pratica:

Trasporti
Abbiamo scelto la jeep (un toyota land cruiser vecchio modello, indistruttibile) solo perchè in 4. Infatti il costo di 140 usd al giorno più mancia di 300 birr a testa all’autista è economicamente una bella mazzata pari a 400 euro di trasporto su strada. I mezzi pubblici sono meno comodi ma costano nulla, avendo tempo secondo me è la soluzione migliore, magari alternando mezzi pubblici a mezzi privati reperiti in loco, risparmiando non poco e concedendosi qualche comodità. La scomodità principale con i mezzi pubblici è alzarsi molto presto la mattina (prima delle 5) e raggiungere la stazione degli autobus. Ottimi i voli interni dell’Ethiopian, costano poco e sono affidabili. Noi abbiamo pagato 51 euro il volo Lalibela-Addis in un ufficio in loco contro i 150 euro che chiedevano sul sito ufficiale. Ad Addis girare è molto facile ed economico utilizzando i minibus blu e troverete molto gente disposta ad aiutarvi, soprattutto se vi sforzate di utilizzare qualche parola in amarico.

Alloggio
Abbiamo scelto sempre hotel di cat. bassa o medio-bassa, mai bassissima, spendendo circa 200-250 birr (doppia) per stanze sempre molto pulite (nessuna pulce) con attached bathroom, a volte un po’ fatiscenti. Buon rapporto qualità/prezzo, è stata una piacevole sorpresa. I tour organizzati prenotano in anticipo, nei posti come Debark, dove c’è poca scelta, può essere difficile trovare una stanza ed i prezzi sono alti (385 birr il prezzo massimo pagato per una doppia proprio a Debark). Non fatevi ingannare dai procacciatori d’affari durante il timkat, basta fare due passi per trovare una sistemazione a prezzi ragionevoli.

Cibo
Non tanto vario, a me è piaciuto molto, perchè adoro il piccante. Tibs (spezzatino in salsa rossa o solo arrostito), shiro (crema di fagioli) e injera (la base di ogni piatto sulla quale si pongono le pietanze: fatta di farina di tef fermentata, ha un colore grigio , un po’ acidula, si accompagna bene ai sughi) la fanno da padroni. Il pane come lo conosciamo noi a panini è buono, la pasta accettabile, la pizza un po’ meno. Il kitfo pare sia una leccornia: è carne semicruda servita con injera e a parte il berbere (peperoncino in polvere), ho sempre chiesto il kitfo betam l’b l’b, cioè molto ben cotto. Birra buona, diverse marche, le più diffuse, St. George e Dashen, circa 10 birr a bottiglia. Mediamente si spende 20-40 birr per un piatto nazionale. Caffé squisito (3-6 birr) e forte (ma dopo le 20 si fa fatica a trovarlo).

Cambio
Varia molto il rapporto birr/euro, il 16 gennaio era 22.06 birr, il 28 gennaio era 22.73 birr. Non ci sono commissioni e sono tutti onesti nel cambiare i soldi al tasso ufficiale.

Altro
L
e prese di corrente sono come le nostre, quindi non servono adattatori. Internet è estenuante e spesso caro (1 birr al minuto a Lalibela), il cell spesso non funziona per le chiamate, ha sempre funzionato per gli sms (occhio ai costi!). Tutte le chiese sono diventate carissime (100-150 birr a chiesa) ed i prezzi sono raddoppiati ovunque rispetto agli anni precedenti. La Lonely Planet ed. 2009 non serve quasi a nulla e andrebbe aggiornata. Non mi viene in mente altro…

Amarico
(molte) grazie: (betam) ameseghenallo
buon giorno: demnad’rk, selam, selam no
saluto formale: denahu’n
come stai?: dena ne/nesh/nechu? (masch./femm./plur.)
sto bene: dena neny
quanto costa?: sint no?
dov’è?: yet no?
come ti chiami: seme man no? semesh man no?
ok: eshi
buono (cibo): t’ru
bello: konjo
acqua: wu’ha
pane: dabo
veloce: tolo
andiamo: en’ihit
io: ene
ben cotto: betam l’b l’b
1: and, 2: hulett, 3: sost, 4: harat, 5: amst, 10: ass’r, 100: meto
birra: bira
straniero: faranji
locale: habesha
caffé: buna

Ah dimenticavo… un sentito ringraziamento a Michele del sito ViaggiareLiberi, fonte preziosa di informazioni.


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