Egitto 2008


OASI EGIZIANE: UN VIAGGIO, UN’AVVENTURA…

(diario di viaggio 23 novembre – 3 dicembre di Daniela Cesca)

Itinerario: Cairo – Oasi Bahareya – Oasi di Farafra – Oasi di Dakhla – Oasi di Kargha – Abydos – Dendera -Luxor – Cairo

Da un mese sto raccogliendo con difficoltà i tanti ricordi e le meravigliose sensazioni che questo viaggio mi ha dato e ora provo a condividerle con voi cercando di fare il meglio per coinvolgervi nelle emozioni provate da me e dai miei compagni di viaggio.
E’ stato estremamente complicato, prima di tutto trovare il numero di persone per ammortizzare le spese, era necessario essere almeno in 7-8 e visto il periodo (23 novembre 3 dicembre) non coincidente con le classiche ferie la ricerca è stata lunga e a volte deludente, vista poi la tipologia del percorso, la scelta tra le persone era limitata anche dall’interesse che il viaggio poteva suscitare!
Quello che non era riuscito in tanti giorni, improvvisamente, come spesso accade, si concretizza nell’arco di dieci minuti, quando ormai mi ero rassegnata a rinunciare al viaggio. Siamo in sette!!!!
Da questo momento cominciano i veri preparativi, le telefonate, gli sms e le mail con Ezz il mio amico egittologo che abita ad Alessandria. Grazie a lui e al mio amico Paolo riusciremo a fare un percorso molto suggestivo e poco frequentato, visitando alcuni luoghi che richiedono particolari permessi. Le aspettative sono grandi e l’agitazione aumenta di giorno in giorno a causa anche di varie difficoltà che si presentano man mano che il progetto si sviluppa.

Domenica 23 novembre: Si parte! In tre, io, Paolo e Valeria dall’aeroporto di Venezia con scalo a Roma e successivo volo al Cairo mentre gli altri (Gabriella, Mauro, Antonia, Rosaria e Ornella) partiti da Napoli, raggiunta Roma volano al Cairo partendo prima di noi. L’incontro sarà fuori dall’aeroporto dove il gruppo si formerà definitivamente. Anche non conoscere i propri compagni di viaggio mette un po’ di ansia, il viaggio non è semplice e necessita di un buon grado di adattabilità  che non è da tutti. Ci siamo, usciti dall’aeroporto eccoci emozionati, tutti insieme, le presentazioni e gli abbracci con Ezz che non vedo da quasi due anni. Arrivano le nostre due jeep, caricati i bagagli sopra a una, ci dividiamo  i posti e comincia il viaggio vero e proprio. Sono le 19.00 e ci aspettano quasi 400 km di strada nel deserto per arrivare al primo albergo PALM  VILLAGE nell’Oasi di Bahareya. La prima sosta è per ritirare le pizze (buone!) i panini con gamberi (buonissimi) e patatine  ordinate da Ezz per la nostra cena in viaggio. Poi,  in periferia ancora fermi per piccoli acquisti, infine, nell’assoluto e indisciplinato nonché rumoroso traffico egiziano usciamo lentamente dalla città che non finisce mai. La strada ora è buia, il nostro autista guida a fari spenti, quello davanti segnala le curve con le frecce e la presenza di altri mezzi con quelle doppie, corrono decisamente forte ma non ho affatto paura, è più forte l’adrenalina dell’aspettativa dei prossimi giorni. E’ tardi e uno stop in un “autogrill” ci permette di fare due passi. Prima esperienza di vero Egitto! Indescrivibile l’ambiente visti i nostri parametri di giudizio ma nonostante i gatti che corrono da un angolo all’altro…la polvere su ogni cosa, la montagna di casse di bibite, la scarsa luce, i dipinti sulle pareti accettiamo di buon grado un tè caldo alla menta e le noccioline tostate che riempiono l’aria di buon profumo. Il viaggio non finisce più, c’è chi si è addormentato, Paolo seduto davanti tiene sveglio l’autista, io dietro sogno e immagino ad occhi aperti cosa vedrò nei prossimi giorni. Arriviamo a destinazione intorno alle due, l’albergo ci sorprende, è carino, pulito e le camere decisamente graziose anche se spartane. Divertente il grande bagno che offre un lavandino appoggiato su una pretenziosa lastra di marmo.. altissimo anche per me che sono alta un bel po’… sorrido al pensiero di come si comporterà chi è più piccolo di me … oltre a questo in tutto lo spazio disponibile il water è praticamente incastrato sotto la lastra cosi che alzandosi ci si va a sbattere contro. Nonostante l’ora tarda e la stanchezza queste cose strappano una bella risata a me e Valeria che sarà la mia compagna di stanza per tutto il viaggio.

Lunedì 24 novembre: la sveglia non tanto presto e una buona colazione ci danno la carica per affrontare questa giornata. Caricate le jeep inizia la nostra avventura con una pista che ci porta in cima a una collina da dove si domina tutta l’oasi e si visitano i resti della “Casa inglese” un fortino costruito all’epoca della Prima Guerra Mondiale. Si riparte per la visita del Museo Archeologico dove sono conservate alcune mummie scoperte nel 1996 in un’immensa necropoli di età romana. Gli scavi iniziati nel 1999 hanno permesso di appurare che si trattava del più grande importante cimitero di questa epoca mai rinvenuto in Egitto. Poco distante  e raggiunta a piedi, “la collina graziosa”  Quaret Helwa con le tombe dei nobili di Baharia. Scavate in profondità e raggiunte tramite strette scale ci meravigliano per la semplicità degli affreschi ancora ben conservati in stanze sorrette da colonne in una rotonde, nell’altra quadrate. Quindi  la cappella di Ain el-Muftella sito che si trova allo sbocco della pista che collega Baharya con l’oasi di Siwa. In jeep raggiungiamo il Tempio di Alessandro. Si tratta dell’unico tempio costruito da Alessandro Magno nelle oasi e la sua struttura è assai singolare. In un angolo all’aperto numerosi cocci di vaso aspettano solo di essere fotografati sotto il controllo vigile del guardiano. Si riparte lungo la strada asfaltata che collega Baharya a Farafra dove si possono vedere paesaggi di grande interesse. Una sosta a un mercatino ci permette di fare acquisti di frutta e verdura che serviranno ai ragazzi che guidano per prepararci i pranzi. Una bellissima, colorata e rifornita bancherella offre al mio obiettivo l’opportunità di immortalare scene di vita quotidiana. Qualche decina di chilometri a sud dell’oasi incomincia il cosiddetto  Deserto Nero caratterizzato da un pianoro sul quale si innalzano numerose piccole colline, alte in media un centinaio di metri, distribuite in modo irregolare e di forma grossolanamente conica o piramidale. Nelle parti sommitali dei rilievi emergono le rocce basaltiche causa della colorazione scura della regione. Una sosta ci permette di risalire faticosamente una di queste alture per godere di una vista a 360 gradi sul territorio sottostante. La strada dritta a tratti è coperta dalla sabbia portata dal vento e nonostante il paesaggio caratteristico tutti i nostri stomachi cominciano a protestare.. siamo affamati ed è già pomeriggio inoltrato. Veniamo esortati a portare pazienza fino alla prossima meta che sembra non arrivare mai. Eccoci al posto di blocco dove dobbiamo esibire i permessi ottenuti al Cairo per visitare una zona archeologica non molto conosciuta, il sito protostorico del Wadi El Obeyed. (7000 avanti Cristo). Il percorso è estremamente impegnativo.. si vola, vista la velocità sostenuta, sopra sassi, cunette, cumuli di sabbia. Molto suggestiva la risalita tra pinnacoli e funghi lattescenti fino ad arrivare con qualche difficoltà in quello che era un antico bacino idrico e attraversatolo nel fondo, raggiungiamo la base di una falesia alla cui sommità si apre una cavità, ma tra le risate riecheggiano ancora le proteste per la fame! La salita fino all’imbocco della grotta di chiara origine carsica avviene per lo più a quattro mani e con grandi scivoloni poiché un sottile strato di sabbia ricopre le sottostanti bianche rocce. All’interno della grotta, così faticosamente raggiunta, con l’aiuto delle pile riusciamo a scorgere i disegni lasciati sulle pareti dagli abitanti di quel tempo. Dall’imbocco della cavità le nostre jeep sembrano piccolissime, laggiù in basso! Scattiamo un bel po’ di foto per immortalare un luogo così suggestivo e poi quasi di corsa scendiamo. SORPRESA!…… nel poco tempo trascorso, come per magia, sul cofano della jeep sono comparsi dei piatti colmi di ogni ben di Dio ed essendo già le 16, ben si può immaginare quale sia stata la nostra reazione! Soddisfatti, un po’ in piedi, un po’ seduti per terra, tra un commento e l’altro consumiamo velocemente il tanto sospirato pranzo! Si riparte, se possibile correndo ancora di più di prima. Qualcuno urla… qualcuno ride… qualcuno dice che sta perdendo le budella… insomma.. sta cominciando anche il divertimento e il gruppo comincia ad amalgamarsi. Stasera ci aspetta il campo tendato che raggiungiamo volando sulla pista sabbiosa percorsa dai nostri autisti che danno prova di maestria nell’affrontare i cumuli improvvisi che si presentano nel cono di luce dei fari, ormai è buio e come si sa, nel deserto non ci sono fonti di luce.. nemmeno lontane.. e quindi il buio è proprio buio. Compare all’improvviso l’insieme di tende bianche che saranno il nostro rifugio per trascorrere la notte. Ci meravigliamo dell’organizzazione, tende pulite, bianche, confortevoli, oserei dire raffinate con quel velo raccolto a ciocca all’interno, bagni.. un po’ lontani ma decisamente oltre le nostre aspettative per comodità e pulizia, tenda ristorante. I ragazzi del campo stanno rosolando sulle braci pollo che diffonde nell’aria un invitante profumo. Cena con festa, Gabriella compie gli anni e i nostri autisti hanno procurato candeline, cappellini e fuochi d’artificio. Cosa desiderare di più? La torta  è un tripudio di fantasia, fatta con la sabbia, ricoperta di quattro tovagliolini bianchi, le ciliegine fatte col ketchup e candeline argentate … una festa perfetta in un posto perfetto. Sotto le stelle ci cimentiamo in balli tradizionali con la musica che esce dalla radio della jeep riempiendo la notte stellata di dolci note e delle nostre risate. Purtroppo ci sono un po’ di nuvole e lo spettacolo delle stelle non è quello che mi aspettavo, i ricordi di quello nel deserto marocchino sono ancora troppo vivi per non fare paragoni. Andiamo a letto vestite e senza doccia, tanto il percorso dai bagni alla tenda ci avrebbe ridotto nello stesso modo in cui siamo, impolverati fino alla testa. La sabbia è finissima ed entra dappertutto, la pelle è come ricoperta di uno strato di borotalco, prude un po’ ma che importa. Mi addormento pensando all’alba e al sorgere del sole e al pensiero che vorrei riuscire a fare delle fotografie, quello che non mi è riuscito in Marocco a causa delle nuvole.

Martedì 25 novembre: Mi sveglio presto, fuori comincia l’alba, esco con macchina fotografica e telecamera. Non avevo dubbi, sono la sola ad attendere il sole sorgere anche se la sera tutti dicevano che l’avrebbero fatto. Si vedono i primi accenni di raggi solari, il silenzio è quasi assoluto anche se da una tenda provengono le voci dei ragazzi che dicono le preghiere mattutine. Passeggio osservando sulla sabbia le molteplici orme delle volpi che di notte girovagano cercando del cibo e nel frattempo penso alla giornata che ho davanti immaginando che sarà fantastica. Pigramente, a sole già alto, compaiono i miei compagni di viaggio più o meno assonnati, una veloce colazione e poi diamo l’addio alla nostra avventura in tenda. Le jeep corrono parallele a velocità sostenuta sobbalzando sulla pista sconnessa. A un certo punto compare all’orizzonte uno strano biancore e ammutoliti restiamo incantati a osservare quello che per il momento è solo un’anteprima del Deserto Bianco che si estende su una superficie di circa 3.000 kmq.  Si possono osservare i primi affioramenti di rocce bianchissime, simili a distese nevose, dalle quali si innalzano fantasmagorici pinnacoli che evocano talvolta sagome di funghi, di animali o di chimere, creando un paesaggio surreale e magico. Il Deserto Bianco è costituito da calcari bianchi organogeni depositatisi nel calmo e poco profondo mare che ricopriva quest’area nel Cretaceo circa un centinaio di milioni di anni fa. Questi calcari sono formati da innumerevoli gusci di microrganismi e di microscopiche alghe il cui guscio è costituito da carbonato di calcio. Spesso tra il sedimento affiorano anche noduli nerastri dalle forme più svariate, si tratta di marcassite (bisolfuro di ferro), un minerale simile alla pirite. Siamo quasi senza parole di fronte a uno spettacolo così grandioso e inaspettato. Gli scatti di foto si moltiplicano all’infinito mentre gli autisti sorridono promettendoci che nella giornata vedremo cose ancora più belle. Sembra impossibile! Mentre la jeep davanti corre spedita, la seconda, dove ci sono io, comincia a fare strani rumori, le marce non entrano e il motore è su di giri. Niente da fare, non va oltre i 70 km. orari. Siamo costretti a fermarci e comincia a uscire del fumo dal motore. Anche questo fa parte dell’avventura, i telefoni non funzionano e siamo lontani da zone abitate ma possiamo contare sull’esperienza dei nostri autisti anche come meccanici. Con una certa cautela si riparte per arrivare alla così detta Montagna di Cristallo che deve il nome a grossi cristalli di calcite. Un po’ deludente come meta, visti i divieti da poco messi, che impediscono di camminare all’interno della zona. Continua il percorso nel Deserto Bianco, si susseguono ininterrotte e sempre diverse le distese bianche caratterizzate a volte da pinnacoli, altre da piccoli “panettoni” di pietra distribuiti su vaste superfici, da colline che assomigliano a campi da sci, da “funghi sparsi qua e là. Ogni sosta è motivo di foto e credo che ne abbiamo scattate centinaia. La sensazione di pace, di perfetto contatto con la natura, il silenzio, la luce abbagliante, il paesaggio irreale, tutto questo ci fa desiderare di rimanere per sempre in questo luogo così straordinario. Le nostre voci, i nostri richiami sembrano disturbare questa perfetta silenziosa sinfonia della natura. Dopo una pista zigzagante tra piccoli coni bianchi appare improvvisa una collinetta sovrastata da una enorme mimosa. Anche questo un miracolo della natura, la folta chioma completamente fiorita è riparo di innumerevoli cinguettanti uccellini, un groviglio di  lunghe radici nella ricerca dell’umidità ne ricopre quasi tutta la superficie. Dietro una roccia i nostri autisti, trasformati in cuochi stanno preparando un meraviglioso spuntino. Ovunque guardo, intorno a me uno scenario così inusuale da sembrare finto . Ancora in jeep e ancora scorrono veloci fuori dai finestrini questi paesaggi irreali. Ancora soste, ancora foto e la voglia di rimanere in questo posto è grande, più si avvicina la sera più si sente la nostalgia di questo luogo incantato che ben presto lasceremo. Ultima sosta sotto una formazione dalla forma di gallina, i raggi del sole alle spalle la illuminano in maniera irreale. Il rientro è fatto su una pista tremenda che mette a dura prova autisti e passeggeri. A Farafra siamo alloggiati all’Hotel Badaweya, ma abbiamo appena il tempo di appoggiare le valigie in camera, vedere che l’albergo offre stanze ampie e caratteristiche che già si riesce. Ci aspetta un bagno alle “terme”. I “napoletani” (detto in tono affettuoso) abituati a quelle di Ischia immaginano accappatoi.. docce e quant’altro. Io so già di che si tratta perché ho visto le foto del posto… e sorrido. Immaginare delle terme come intendiamo noi e trovarci poi di fronte una pozza di cemento con dell’acqua apparentemente scura praticamente tra una pista e il deserto, provoca battute e risate, ma vinta la diffidenza ad uno a uno ci immergiamo scoprendo invece un’acqua pulita anche se ferruginosa e piacevolmente calda. Da un grosso tubo che fuoriesce dal terreno sgorga acqua con forte pressione e ci mettiamo sotto per avere un effetto idromassaggio. Passa così una mezz’ora mentre cala la sera. Un uomo e il suo bimbo ci avvicinano per offrirci del tè caldo in bicchieri non propriamente puliti, ma ci facciamo coraggio per non deluderli e apprezziamo quel loro gesto gentile. Rientrati in hotel, dopo una cena “spartana” ci ritroviamo, seduti su cuscini, già perfettamente integrati con gli usi e i costumi del posto, a discutere dei programmi dei giorni successivi.

Mercoledì 26 novembre: Caricate le jeep  si parte in direzione Oasi di Dakla. La strada asfaltata attraversa zone coltivate, si vedono piccoli agglomerati di casupole, estremamente modeste e gli unici compagni di viaggio incontrati sono carretti trainati da asinelli, persone a piedi e qualcuno, fortunato in motorino. Il paesaggio muta e ai lati della strada ritorna il deserto con isolate formazioni rocciose e a volte modeste dune. A una curva il nostro autista imbocca una pista e in men che non si dica ci ritroviamo nel bel mezzo del deserto. Le jeep corrono parallele, quasi  in competizione tra loro, gli autisti si divertono a fare evoluzioni e finalmente ci si ferma nel bel mezzo del “nulla”. E’ impressionante il senso di disagio che procura questo luogo senza punti di riferimento. Manca quasi l’aria. Ridiamo, scherziamo, ci immortaliamo in varie foto, facciamo scorrere tra le dita la sabbia dorata finissima. All’orizzonte il miraggio, l’illusione di essere sul bordo di un lago o addirittura in riva al mare. Ma il deserto con le dune …. dove è? Io quello da casa sognavo, dove poter provare l’emozione di salire e scendere con la jeep quelle colline di sabbia. E adesso eccolo! Di fronte a noi un mare di gobbe più o meno alte. Anche qua riusciamo a divertirci come scolaretti scendendo ognuno a modo proprio da quella più alta, …chi corre, … chi scivola, …. chi rema, … chi scia….! E si ride e si ride. Poi tutti in jeep e comincia l’avventura, allacciate le cinture gli autisti ci portano più volte su e giù per le dune con nostra enorme gioia e soddisfazione. La prossima tappa è già in prossimità dell’ Oasi di Dakhla. Si tratta del Tempio di Deir el-Hagar  costruito sotto il regno di Nerone (54-68 d.C) che, dopo i restauri iniziati nel 1992 risulta essere il più completo tra i monumenti romani delle oasi. Facciamo fatica a seguire le spiegazioni dettagliate di Ezz perché siamo ancora pervasi dall’atmosfera dell’avventura dei giorni precedenti. C’è chi dice battutacce facendo ridere tutti e … arrabbiare Ezz che non ci vede attenti e che ha anche avuto un acceso scambio di “idee” con il guardiano del sito in arabo …. ma il cui contenuto comunque ci è risultato comprensibile lo stesso. Oggi il pranzo sarà in una casa dove gli autisti dormono quando sono in quest’oasi. Arriverà anche la jeep in sostituzione di quella che non funziona bene e ci sarà un nuovo autista, saluteremo quindi Hamid che con bravura ci ha scorazzati in questi giorni. L’ambiente è …… che dire?.. egiziano. Una tv accesa trasmette una telenovela.. le immagini sfuocate e arancioni, un cavo volante la collega a una fatiscente antenna, un tavolino che sotto uno strato di polvere forse è di vetro, tre poltrone sgangherate,  posacenere pieni di cicche, un pavimento coperto di sabbia, una cucina che abbiamo evitato di vedere, ma a poco a poco si diffonde nell’aria un buon profumino di cibo. Gli autisti preparano sommariamente una lunga tavola e in men che non si dica siamo tutti seduti chiacchierando allegramente di fronte a piatti fumanti e a ogni ben di Dio. A questo punto non fa importanza dove siamo, tutti insieme seduti a tavola dividiamo il cibo raccontandoci le sensazioni di questi giorni. Di nuovo in jeep. Poco lontano visitiamo la necropoli di Muzawaqa, non ancora stata interamente scavata e studiata, consiste in una serie di oltre 300 tombe rupestri di cui due dipinte appartenenti a funzionari vissuti tra il primo e secondo secolo dopo Cristo. Purtroppo queste sono chiuse e non ci resta che passeggiare sulla collina scoprendo in una tomba aperta una mummia gettata senza rispetto all’interno della tomba violata. Non ho il coraggio di fare una foto, mi sembra di mancarle di rispetto e provo un sentimento di tristezza e di pena per quel mucchietto di ossa e pelle rinsecchiti. Chissà chi sarà stato e che vita avrà avuto? Ci aspetta ora la visita del villaggio di El-Quasr che dal punto di vista monumentale è il più interessante villaggio dell’oasi. Lungo le strette viuzze si fronteggiano antiche case islamiche, molte delle quali hanno sulle porte di ingresso preziosi architravi di legno di acacia decorati con il nome del proprietario e la data di costruzione dell’edificio. La parte centrale del villaggio è segnalata dall’imponente minareto di Nasr el-Din. Ovunque mi giro trovo qualcosa da fotografare, ho l’impressione di aver perso il gruppo ma la presenza di Paolo e Gabriella anche loro alla ricerca di scorci particolari, mi rassicura. Invece siamo rimasti proprio soli. Il paese è quasi un labirinto, molti scuri sottopassaggi, cortili interni, decidiamo di trovare l’uscita e rinunciare a cercare gli altri. Seduti in una piazzetta dove donne confezionano artigianalmente  ceste e tappeti, attendiamo l’arrivo dei nostri compagni. Adesso ci aspetta il nostro albergo, Desert Lodge, situato su una collina e per questo chiamato anche “Il Castello” costruito nello stile tradizionale locale. Dall’alto si gode un panorama a 360° sull’oasi sottostante. È decisamente un posto magnifico sia per la vista che per gli ambienti e, cosa che scopriremo più tardi, per la cucina.
Non lo sappiamo ancora, ma ci aspetta un tramonto eccezionale. I ripetuti  richiami di  Paolo a Mauro di salire sul terrazzo per le foto, mi spingono ad uscire con tutta la mia attrezzatura. Veniamo premiati da uno spettacolo mozzafiato dai mille colori. Capita raramente penso di avere una simile fortuna. Dopo cena, al debole chiarore di mille luci nascoste nella struttura dell’hotel, sotto un cielo stellato e il villaggio debolmente illuminato sotto di noi, ci raccontiamo le nostre emozioni.

Giovedì 27 novembre: Non so perché ma mi sveglio presto, esco e il sole sta nascendo. Una luce aranciata indora le montagne, solo il ragliare di qualche asino e il cinguettare degli uccellini.. per il resto silenzio. La palla rossa del sole comincia lentamente ad alzarsi all’orizzonte e tutto intorno a poco a poco cambia colore… diventa prima rosa, poi giallo.. infine ogni colore nella piena luce mattutina risplende di luce propria. Il muezzin in lontananza chiama alla preghiera. Mi godo in pieno questo momento di solitudine e mi sento una privilegiata. La mattina ci riserva una sorpresa, abbiamo ottenuto il permesso di visitare un ospedale dell’Oasi. Ci sentiamo onorati per questa possibilità ma scopriamo ben presto, durante la visita dei vari reparti che  veniamo accolti dai vari sanitari come fossimo delle autorità. La nostra visita li inorgoglisce e si fanno in quattro per mostrarci il più possibile di quanto hanno a disposizione, dai laboratori di analisi, la farmacia, gli ambulatori e perfino dove viene fatta la dialisi. Infermiere e dottoresse sono completamente coperte dal burka bianco, molte portano addirittura anche i guanti, di loro si vedono solo profondi occhi spuntare dalla piccolissima fessura del velo. Anche le donne, molte, spesso con bambini, si avvicinano nel tentativo di avere un contatto, ci stringono la mano, ci mostrano orgogliose i loro bimbi e noi quasi ci sentiamo, di fronte a tanto manifestato bisogno di avvicinarsi, a disagio. Ci risulta incomprensibile questo loro isolarsi dal mondo dentro a un vestito che le rende tutte uguali. Forse, noi, nei nostri variopinti  pantaloni e camicie, risulteremo loro altrettanto fuori luogo. Il tempo è passato velocemente e molte altre cose sono da fare. La prima visita nella zona di Balat è alla mastaba di Khentika che ha la particolarità di avere l’appartamento funerario decorato con eleganti pitture. Ripartiti attraverso una pista raggiungiamo i resti di una città, Ain Asil  “la sorgente delle origini” la capitale delle oasi durante l’Antico Regno (?) dove si stanno ancora svolgendo degli scavi.  Durante il rientro all’albergo  una deviazione ci porta, sempre su pista, alle antiche vestigia di un monastero (?). Il posto ci ispira per fare alcune divertenti foto di gruppo. Dopo pranzo ci attende solo il divertimento. Gli autisti ci portano in una zona desertica molto ondulata dove potremo scatenarci in corse su e giù per le dune.  Si affronta il percorso tra gridolini di gioia e a volta di paura ma è così divertente che nessuno pensa di dire “basta”. La nostra jeep si insabbia, si possono solo immaginare le risate di scherno degli altri. Ma i nostri autisti non si spaventano.. sgonfiate le gomme, scavata una buca, messe sotto le ruote le sbarre di acciaio,  siamo già pronti per ripartire. Qualcuno dice “Uno a zero!”. Passa pochissimo tempo e non vediamo l’altra jeep, scomparsa dietro a una duna. Già immaginiamo il peggio. “Uno a uno!” Solo che loro sono insabbiati fino alle portiere. Ridiamo da pazzi. Si ripete il rito da parte degli autisti mentre noi, distesi sulla sabbia ci scambiamo battute sulle nostre reciproche disavventure. Rincorro, per fare delle foto,  uno scarabeo che corre velocissimo lasciando le tracce delle sue zampette sulla sabbia. Paolo in ginocchio vicino alla macchina “prega” per la nostra salvezza. Un momento di puro relax. Il paesaggio è magnifico, ci si potrebbe fermare qua per sempre. Ci dispiace per il lavoro che hanno dovuto fare i ragazzi, li ringraziamo e preferiamo rientrare nonostante le loro proteste e la loro volontà di scorazzarci ancora un po’. Mentre facciamo una sosta nei pressi dell’hotel per fotografare alcune tombe, si avvicinano dei bimbi che ci invitano a un matrimonio che avverrà in serata. In albergo ci aspetta un’altra piacevole sorpresa, c’è una sorgente termale, questa volta però è quasi una bella piscina dove ci mettiamo in ammollo tra chiacchiere e prese in giro per le disavventure del pomeriggio. Il tramonto non è paragonabile a quello della sera precedente e quindi utilizziamo il tempo prima della cena per un po’ di riposo. Emozionati per l’invito, accompagnati dalle jeep andiamo all’appuntamento con la sposa. Il tutto si svolge in una strada, ci sono palloncini e festoni, panche messe in fila e davanti a queste, in alto due grandi sedie.. quasi due troni dove si siederanno gli sposi. La via è piena di bimbi che ci vengono incontro festanti, ci dicono che la sposa è ancora dalla parrucchiera e che lo sposo è andato a prenderla. Quando torneranno… non si sa. Per passare il tempo Ezz propone di andare nella città vicina a 30 km, ma c’è un ammutinamento generale, si ripiega per un bar. Per noi, una cosa normale, ma mettiamo Ezz in difficoltà, nei bar, qui nelle oasi non ci sono donne. Superato l’imbarazzo entriamo in un locale fumoso dove molti uomini chiacchierano, fumano e giocano. Sprecano uno sguardo quando entriamo, continuano poi tranquillamente le loro attività. Ci si ritrova in un cortile, sotto un albero, con i camerieri agitati e confusi per questa inaspettata intrusione. Passiamo una mezz’ora bellissima in cui Ezz ci spiega molte cose interessanti e quindi non abbiamo sprecato il nostro tempo. Al ritorno, la sposa ancora non c’è. La sveglia il mattino successivo sarà di buon ora per cui rinunciamo alla cerimonia e preferiamo andare a riposare.

Venerdì 28 novembre: Anche in questo giorno ci aspetta un lungo trasferimento, ma ormai siamo così affiatati come gruppo che anche le lunghe ore in jeep si trasformano in qualcosa di piacevole. La prima tappa sarà nel luogo delle “terre colorate”. Un posto suggestivo che credo conoscano in pochi. Le rocce sono colorate in giallo e rosso, ma la sabbia è del solito colore. Avvisati da Ezz, in mattinata abbiamo acquistato una confezione di sacchetti per freezer che ci serviranno per la raccolta. Scavate piccole buche nella sabbia, appaiono le varie colorazioni, del giallo ocra intenso, del rosa tenue, del rosso e addirittura del bianco. Sono queste le sabbie utilizzate in antichità per dipingere le figure nei templi. Perfettamente organizzati, c’è chi raccoglie un colore in un sacchetto e chi poi lo divide in tanti altri quanti siamo noi. Qualcuno suggerisce che sarebbe compito mio, farmacista, quello di fare le “cartine” ma sono già impegnata nel ritrarli nella loro attività con fotografie e filmato. Finalmente l’Oasi di Kharga, toponimo che significa in arabo “l’esterna”, che è costituita da una vasta depressione che si estende per 220 chilometri. Nonostante la ricchezza di monumenti, il turismo per il momento non è una delle voci importanti nell’economia dell’oasi. Ci sorprende l’Hotel Pioneer dove alloggiamo, un hotel tipicamente dalla struttura internazionale inserito in un contesto agreste. Dalle stanze, oltre alla vista della piscina si può godere di un ampio panorama sulle coltivazioni e sugli orti verdissimi che terminano su una brulla collina sabbiosa dove si scorgono i resti di una costruzione. Partiamo questa volta scortati da una camionetta con dei soldati. Ezz è costretto a un’accesa discussione con loro per evitare che sulle nostre jeep salga un militare. Lasciata la strada principale, su una pista sabbiosa raggiungiamo il Qasr El-Zayan, edificio costruito in età tolemaica e ingrandito all’epoca dell’imperatore Antonino Pio. Non siamo molto attenti alle spiegazioni… ormai siamo un gruppo indisciplinato, rumoroso e ridanciano.  Uno di noi dal tetto ci fa gli sberleffi (Paolo) poi insieme a Mauro  fa braccio di ferro su un resto di  colonna, siamo distratti e questo fa innervosire il nostro egittologo. Ci spostiamo poi, sempre seguiti a distanza dalla scorta al Qasr el-Gueita, toponimo che significa “Fortezza della sorgente profonda”. È stato realizzato durante la dominazione persiana insieme al Tempio di Hibis che non riusciremo a vedere per mancanza di tempo. E’costruito alla sommità di una piccola collina in corrispondenza di un preesistente insediamento faraonico, celebre per i suoi vini. Il tempio venne successivamente integrato in una fortezza di età romana. Per la prima volta qui troviamo un gruppo di turisti, sono italiani e veneti. Finita la visita abbiamo il piacere di mangiare un meraviglioso pranzo preparato dagli autisti e servito sul cofano delle jeep parcheggiate di fronte al tempio con una vista spettacolare dei monti e dell’oasi di fronte. Si avvicina una cagnetta, magra, dai seni penzolanti e quindi madre. Ci guarda, scodinzola, gli occhi imploranti ma non fa il minimo rumore. I guardiani del sito la allontanano a sassate, noi ci arrabbiamo e la richiamiamo. In silenzio, seduta, affamata, aspetta paziente. Non accetta cibo dalle nostre mani, è timorosa e si allontana. Le mettiamo qualcosa per terra su un piatto. Mangia con avidità, scodinzola, si siede e aspetta sempre in silenzio.  Le allunghiamo dell’altro ma poi, nel timore che possa star male per il troppo cibo smettiamo di riempirle il piatto. A quel punto lei se ne va e ci accorgiamo che in lontananza seduto c’è un altro cane, un maschio, probabilmente il padre dei cuccioli, che solo dopo che la femmina ha mangiato e sazia si è allontanata si avvicina a prendere la sua parte. Questo ci ha commossi e fatto riflettere. Quanto abbiamo da imparare dagli animali, certe volte!
Un percorso su strada asfaltata ci porta all’imbocco di una pista, qui il “potente” mezzo militare della scorta è costretto a fermarsi. A velocità sostenuta tra i nostri gridolini…di gioia e qualche volta di paura affrontiamo un percorso  che offre panorami meravigliosi, dune dorate e arrotondate, monti in lontananza e in mezzo un intricarsi di percorsi solo segnati dalle ruote dei fuoristrada. Ci attendono alla fine i maestosi resti di El Deir –Munira  una imponente fortezza, secondo i testi, ma che Ezz ci dice essere un monastero dove si radunavano degli eremiti. (?) Il posto è fantastico, da togliere il fiato. Ci aspettano ancora altre visite per cui è obbligatorio, anche se controvoglia, abbandonare questo sito. Ritroviamo la camionetta dei soldati alla fine della pista e ripartiamo insieme. Si sta avvicinando il tramonto, la Necropoli di Bagawat il cui toponimo deriva da una deformazione di ”qubawatt” ossia “le cupole”, ci appare all’improvviso illuminata in modo straordinario dai bassi raggi del sole. Questa necropoli  cristiana è una delle più antiche e importanti del mondo. Le sue numerose tombe-cappelle (263) costruite con mattoni crudi e straordinariamente conservate, risalgono a un periodo compreso tra il IV e il VI secolo. Le tombe si estendono su una superficie di oltre 10.000 metri quadrati su una collina. Particolarmente interessanti  dal punto di vista artistico la Cappella della Pace, La Cappella N.25 e la Cappella dell’Esodo. Durante la strada vediamo un altro tempio in restauro, chiediamo il permesso di dare un’occhiata e di fare alcune foto ma veniamo gentilmente pregati dai soldati di guardia, di allontanarci. Manca poco al tramonto, il sito del Tempio di Nadura posto su un colle è il posto più adatto per cogliere il calare del sole sull’oasi. Seduti su gradini tutti in gruppo attendiamo la sparizione del disco che ora si è fatto rosso. Colti da ispirazione improvvisa prima Paolo e poi Mauro intonano una vecchia canzone, in un attimo tutti insieme cantiamo con loro aggiungendo risate, accompagnamento di batteria e chitarra …. controllando i  nostri reciproci indumenti costellati di svariate macchie dovute al catrame della strada. Sembriamo un gruppo di “ubriachi”. Ezz ci prega di avere un po’ di rispetto per il luogo e per altre due persone che stavano ammirando il tramonto. Alla fine rinuncia, siamo così presi da questo momento di ilarità che i suoi rimproveri non li sentiamo nemmeno. Correndo scendiamo dalla collina per raggiungere le jeep. Un breve momento di relax in albergo, una eccellente cena e poi l’ultima avventura della giornata. Sempre scortati andiamo al mercato della città, Qasr Kharga, una popolosa cittadina moderna ordinata e pulita. La gente ci guarda incuriosita mentre giriamo tra le bancherelle e i colorati negozietti. Facciamo molti acquisti di spezie approfittando  dei prezzi estremamente bassi. Incontro due belle ragazze, per riuscire a fotografarle devo intraprendere una complicata trattativa con loro e poi con i rispettivi genitori. Nel momento stesso in cui sfiduciata rinuncio, vengo invitata nel loro negozio. A quel punto, tutto mi è permesso, scatto un’innumerevole serie di foto, le ragazze si mettono in posa, litigano per avere più scatti, si inventano pose e moine. Tutto il mondo è paese, alla fine! La giornata è stata lunga e impegnativa, tante le emozioni e le cose viste.

Sabato 29 novembre: Sveglia presto perché sarà un lungo trasferimento quello di oggi. La strada, l’unica, a volte ben asfaltata a volte solo tracciata, taglia in due il paesaggio desertico. A brevi intervalli siamo costretti a  delle fermate per dare ai militari che pattugliano il percorso, i nostri dati. Il posto di blocco consiste in un bidone alquanto sgangherato posto in mezzo alla carreggiata e  di una piccola costruzione dove stanno i soldati. Ci spiega Ezz che questi controlli servono per avere un’idea degli spostamenti dei mezzi che transitano. In caso di mancato passaggio al successivo controllo si attivano le ricerche ed eventuali soccorsi. Non c’è quasi nessun altro mezzo sulla nostra strada e il paesaggio è privo di qualsiasi forma di vita e insediamento umano.  A un certo punto  lasciamo la strada principale per imboccare una deviazione che ci porterà ad Abydos.  Ezz e gli autisti sono nervosi, in questa zona transitiamo da “clandestini”, il percorso è vietato ai turisti perché, vista la conformazione del paesaggio, molto adatto  ai rapimenti e agli assalti. Ma in questo modo possiamo arrivare alla nostra meta attraverso il deserto, come facevano gli antichi Egizi. Lungo la strada facciamo qualche sosta per piccoli spuntini e per sgranchire le gambe….e per fare qualche risata quando dietro ai sassi ognuno di noi si nasconde per i bisogni fisiologici, visto che altro non offre il percorso! A un bivio l’autista sbaglia strada, siamo costretti a tornare indietro, non esistono cartelli che indicano le direzioni. Cominciamo a vedere del verde, qualche pianta, i primi paesi e gente per strada. Ezz non ricorda la direzione e chiede informazioni. Purtroppo risbagliamo e arriviamo ad Abydos per la trafficata e rumorosa strada asfaltata con grande delusione di Paolo che sognava l’arrivo dal deserto. Addirittura dice che abbiamo perso il senso del viaggio che consisteva nell’avvicinamento progressivo al sito proprio secondo gli antichi percorsi egiziani. Ci aspetta il nostro B&B egiziano che io già conosco e che per questo non mi impressiona. Anche gli autisti, mai stati ad Abydos, di fronte allo stabile sorridono e ci prendono in giro. “Ma voi, dormite qui????” Di nuovo, la scala di accesso ai piani superiori ora dipinta di azzurro e il negozio di parrucchiera chiuso. (vedi racconto Insolito Egitto) I miei compagni di viaggio sorridono e accettano la sistemazione con allegria. Dopo il pranzo usciamo per le visite. Per prima l’area ora conosciuta come Kom El Sultan dove si trovano i resti del Tempio di Osiris. Purtroppo noto un netto degrado del sito rispetto a solo un anno fa. Ci sono immondizie ovunque e, confermato da Ezz, sono stati trafugati vari pezzi della struttura che riportavano figure. Rimangono visibili ancora, solo alcune teste di babbuino. Camminiamo sui resti delle antiche mura per osservare dall’alto quanto ancora rimane dei Laghi sacri ridotti a due piccole pozze, il solito guardiano passeggia tra i resti. Nonostante tutto l’aria che si respira ad Abydos è speciale, il colore dorato del tramonto rende ancora più suggestivo il tutto. Camminando raggiungiamo un cimitero, sempre seguiti dai militari di scorta che non ci lasciano un attimo. Queste zone non sono normalmente visitabili dai turisti. Cerchiamo la tomba di Omm Seti (*) che troviamo tristemente profanata con vicino una carcassa di un cavallo quasi mummificata. E’ triste vedere quanto poco in considerazione è tenuta una persona che tanto ha dato a questo paese e all’umanità con le sue conoscenze e la sua opera. Anche se non avevamo permessi ci siamo avvicinati a Shunet El Zebib, altro luogo misterioso nei dintorni di Abydos. Paolo riesce a “corrompere” i soldati mostrando loro i suoi “santini”, le foto che lo ritraggono insieme a grandi nomi dell’archeologia Egiziana e personaggi importanti. E’ così che ci viene concesso l’ingresso in questa enorme area circondata da mura alte circa 14 metri, fatte di mattoni crudi, che resistono al tempo. Ancora non è chiaro quale sia stato l’utilizzo di questa struttura. Ci aspettano i nostri scassati taxi che ci riporteranno al nostro alloggio. A turno, prima della cena, utilizziamo l’unico bagno per la doccia, ma lo spirito di adattamento ormai è così alto che nessuno ha qualcosa da ridire. Dopo cena saliamo sul terrazzo della casa, proprio di fronte al tempio illuminato del quale si ha una splendida vista. Dopo varie peripezie, riusciamo a far funzionare un computer e  guardiamo il filmato che avevo fatto io l’anno scorso del viaggio. Horus, il padrone della casa e anche sindaco di Abydos, accende un gran fuoco in un braciere. Riusciamo anche ad avere il permesso di  entrare nel piazzale del tempio e di vederlo da vicino di notte. Antonia scivola e si fa male, ma è una persona brillante e non fa pesare la sua “invalidità” anzi, sarà un motivo di risate nei giorni successivi.

Domenica 30 novembre: La giornata comincia presto con la visita del Tempio di Sethi I che si trova a pochi passi da dove abbiamo dormito (ad Abydos attualmente non esistono alberghi, questo perché i turisti non hanno la possibilità di fermarsi la notte se non in possesso di permessi) Per tutto il viaggio ho preparato i miei compagni all’incontro con questo spettacolare monumento. Ezz cerca di fare delle spiegazioni ma tutto il gruppo si disperde tra le colonne e le varie stanze in contemplazione di quanto di più sublime offre l’arte egiziana. Il sole entra attraverso piccole finestre formando fasci di luce che illuminano l’interno, oggi, come lo volevano allora i costruttori del tempio. Non c’è modo di descrivere la perfezione con cui sono eseguite le figure, la ricchezza dei colori e dei particolari degli abbigliamenti dei personaggi che ricoprono le pareti. Ogni stanza offre uno spettacolo unico dal quale risulta difficile separarsi. Ma gli impegni della giornata saranno tanti per cui dobbiamo uscire e proseguire con altre visite. L’Osireion ci appare all’uscita dal tempio. Questa volta c’è molta acqua e forse meno immondizie rispetto all’anno scorso, ma comunque sia, si trova in condizioni deplorevoli. E pensare che questo monumento è ancora uno dei misteri della storia egiziana da scoprire e che affascina proprio per questo. Attraverso una pista polverosa ma a piedi raggiungiamo il vicino Tempio di Rames II. Mi fermo poco perché l’ho già visitato, scatto alcune foto degli scorci che presentano i disegni più colorati e poi, ottenuto il permesso rientro all’alloggio per ricaricare le pile della telecamera che si stanno esaurendo. Per strada vengo fermata da un militare che mi chiede da dove vengo e dove vado. Dalle porte delle case spuntano facce curiose, alcune donne si avvicinano e mi sorridono ma appena faccio il gesto di prendere la macchina fotografica, scappano emettendo gridolini e nascondendosi dietro le imposte. Vedo del pane messo a lievitare per terra ricoperto di mosche, una mucca legata a una porta e vicino una pecora, guardo le strette vie impolverate, le case colorate, i mucchi di immondizia dove passeggiano tranquilli bianchi ibis…gli stessi raffigurati milioni di volte sui bassorilievi. Pranziamo velocemente perché dobbiamo aggregarci al convoglio  scortato dai militari che parte da Abydos alle 13 in direzione Dendera e infine Luxor. Questo percorso è stato deciso quasi all’ultimo momento in alternativa al dover passare quasi un’intera giornata in treno. Siamo in fila con altri pullman e qualche pulmino, il percorso attraversa villaggi e verde campagna fino al Nilo che attraversiamo correndo poi paralleli ai monti. A Dendera ci aspetta un’altra meravigliosa sorpresa. Purtroppo l’essere arrivati con il convoglio significa tanta gente con noi in visita del sito. Dopo tanti giorni di meravigliosa solitudine il chiacchiericcio delle persone infastidisce, la presenza di negozi di souvenir ci fa capire che ci stiamo avvicinando al triste mondo del turismo di massa. Il Tempio di Hator è più di quanto mi fossi immaginata. Sorge isolato al margine del deserto occidentale  ed è il motivo per cui Dendera è di gran lunga la località più visitata di tutta la valle tra Menfi e Tebe. Sei colonne, riunite da muri fino a mezza altezza, formano la facciata, dietro la quale vi è la sala ipostila con altre diciotto maestose colonne; i capitelli a testa di Hator hanno la forma di sistro, strumento dedicato alla dea che in forma di vacca appare tra le piante nelle paludi della creazione. Nel naos retrostante vi è una seconda sala minore ipostila, o sala delle offerte con cappelle ai lati. Una di queste ha le pareti ricoperte di ricette per la preparazione  dei balsami e degli olii con cui si ungeva la statua della dea. Una straordinaria scala a chiocciola dalle pareti completamente rivestite di incisioni porta al piano superiore dove in una stanza è conservata la copia del famoso Zodiaco, l’originale si trova a Parigi. Dai terrazzi in alto si gode il panorama di tutta la zona archeologica. Così come siamo arrivati tutti insieme, all’ora stabilita si riparte in convoglio. Il sole sta tramontando e gli ultimi raggi occhieggiano tra i rami delle palme che costeggiano la strada. L’arrivo a Luxor avviene in un tripudio di luci. Nella città di “Tebe dalle cento porte” troviamo il Tempio di Luxor, consacrato ad Ammone, è un edificio situato sulla riva orientale del Nilo iniziato da  Amenofi III e terminato da Ramsete II. Assieme al tempio di Karnak, con cui un tempo era collegato attraverso una serie di viali fiancheggiati da sfingi, costituisce l’espressione più alta del potere e dello splendore dei Faraoni. La complessità dell’edificio è dovuta al grande numero di Faraoni che vi posero mano. Ezz abbonda di spiegazioni ma noi siamo elettrizzati per l’avventura che ci aspetta e siamo un po’ distratti. A piedi, girovagando nel mercato tra negozi colmi di cose colorate e divertenti, ci avviamo verso la stazione ferroviaria dove ci verranno riconsegnati i bagagli che erano rimasti sul pulmino. Seduti sui gradini esattamente come i locali attendiamo l’ora della partenza. Ci aspetta un lungo percorso notturno fino al Cairo ma abbiamo le cuccette e un vagone riservato per noi. Forse la convinzione di aver già avuto il meglio dal viaggio e di andare incontro alla fine della vacanza, scatena la nostra parte di “fanciulli in vacanza scolastica”…e diventiamo.. terribili!. Canti stonati, risate, spintoni da uno scompartimento all’altro, scherzi, imitazioni e ancora canti con traduzioni simultanee.. dal veneziano all’italiano e da questo al napoletano…. sembriamo proprio dei monelli, ma stavolta anche Ezz si associa a noi. Finalmente sfiniti e dopo un rimprovero del controllore decidiamo di andare a dormire.

Lunedi 1 dicembre: Nella stazione del Cairo alle sette di mattina assonnati ci mescoliamo all’umanità che affolla i marciapiedi con i nostri bagagli e sacchetti vari. Troviamo un pulmino che ci aspetta e ci porta all’hotel, con la speranza che le stanze siano pronte almeno per una doccia.  (Hotel Zoser posto in un punto strategico vicino alle Piramidi ma discutibile sotto molti punti di vista anche se un quattro stelle). La strada per le Piramidi è trafficatissima ci si muove a rilento e già tutti rimpiangiamo la pace dei giorni passati. La sorpresa è trovarmi di fronte a una nuova recinzione intorno alla zona con annessa biglietteria, posto di controllo, bagni, bar… ma come? In un solo anno tutto questo? Il fascino delle enormi figure che si stagliano contro il cielo è decisamente un ricordo, le foto fatte nei vari anni in cui sono stata qua, reperti archeologici. Ora è tutto un andar e rivieni di pullman, di gente a cavallo, di dromedari agghindati per le foto, di venditori di bibite, a questo si aggiungono immondizie ovunque e una grande confusione di gente, addirittura tra due Piramidi c’è ora un grande parcheggio per i pullman. Una enorme delusione e sempre di più rimpiangiamo la solitudine dei giorni passati. Il rientro per andare a pranzo è fatto in mezzo a un traffico inimmaginabile, per fare pochi chilometri stiamo in macchina più di un’ora. Fortunatamente Ezz ha trovato un ristorante all’aperto, dove mangiamo benissimo, che sembra inserito in un’oasi di pace. Il pomeriggio ci aspetta la visita del Museo archeologico. Ormai, essendo la quarta volta, mi muovo tra le stanze e i reperti con la tranquillità di godermi i pezzi migliori senza l’affanno di voler vedere tutto. Mi incanta e meraviglia e commuove ogni volta la maschera di Tutankamon e tutto l’arredo funerario che lo aveva accompagnato nel suo viaggio nell’aldilà. Usciamo che è già buio e ci rassegniamo a ripercorrere la strada per l’hotel tra un traffico indemoniato e suoni di clacson senza fine. Impieghiamo un paio d’ore e arriviamo più sfiniti di quando con le jeep si percorrevano chilometri e chilometri tra piste e strade sconnesse.

Martedì 2 dicembre: L’aver recuperato un giorno viaggiando di notte fa sì che per questa giornata non ci siano programmi. Ci riuniamo dopo colazione e decidiamo per una visita al Cairo copto. La cosa più triste è dover riaffrontare il terribile traffico e sapere che gran parte delle ore, a causa degli spostamenti le passeremo chiusi in macchina. Questa zona è il cuore della comunità copta in Egitto e uno dei più importanti posti visitati dalla Sacra Famiglia, dove l’impatto spirituale della loro presenza è ancora molto sentito nonostante la breve permanenza. Ovunque si respira un’intensa atmosfera di devozione. Si trova nella zona chiamata oggi il Vecchio Cairo dove in antichità i Romani costruirono una fortezza chiamata Babilonia. L’area di questa zona è racchiusa all’interno delle mura della fortezza ed è un’area di tranquilli vicoli e di antichi luoghi sacri. Visitiamo la Chiesa di Abu Serga Ela (san Sergio) che racchiude la grotta dove si rifugiò la Sacra Famiglia, la Sinagoga Ben Ezra e la Chiesa greco ortodossa di S. Giorgio. Passa così gran parte della mattinata, però ci resta abbastanza tempo prima del pranzo per passare per il mercato di Khali Khalili. Ci sparpagliamo per i vari vicoli infilandoci dentro i negozi, contrattando fino alla fine per avere il prezzo migliore che comunque garantisce loro un buon guadagno lo stesso. E’ divertente però avere questi battibecchi, fare le scene di andarsene … essere rincorsi, richiamati e poi alla fine uscire dal negozio con la falsa illusione di aver fatto un affare. Riusciamo in poco tempo a spendere un bel po’ di soldi e incontrandoci orgogliosi ci mostriamo gli acquisti. Si riparte ed Ezz ha la triste idea di portarci a pranzo vicino alle Piramidi. Una odissea vera e propria! Non ci si muove quasi imbottigliati nel traffico. Finalmente il tanto agognato pranzo, per poi rituffarci nel traffico per concludere la giornata in un modo simpatico. Offerta da Ezz affittiamo una piccola barca a motore  per poter vedere il tramonto navigando sul Nilo. La città nuova si estende sulle rive, grandi hotel e palazzi che iniziano a illuminarsi ci fanno dimenticare per un attimo la bruttura dei caseggiati di nuova costruzione del Cairo, palazzi anonimi, tutti uguali, senza finestre, tristi all’infinito. Un’assordante musica a volte un po’ stonata ci accompagna, orgoglio del ragazzo che conduce la barca. Iniziamo a ballare e concludiamo così allegramente questo giro mentre il cielo si tinge di rosso. Scesi a terra percorriamo a piedi un tratto di riva all’interno di un parco. Centinaia di coppiette stanno sedute sulle panchine, Ezz ci dice che questo è un punto di ritrovo per i ragazzi. Lasciati Paolo, Ezz e Gabriella che avevano un incontro con un Padre Comboniano, rientriamo sempre in mezzo a un traffico infernale. Siamo alla fine del viaggio il giorno dopo partiremo con orari diversi, quindi la cena della sera sarà quella dei saluti. Mi raggiunge con un mazzo di rose rosse (carinissimo) anche Adel Aziz un altro amico egittologo che conosco da molti anni e si ferma a chiacchierare con noi tutti.
Inizia il solito rito dello scambio di indirizzi e numeri telefonici e le solite promesse a cui tutti crediamo, quello di rincontrarci o di fare un altro viaggio insieme. Cala una certa tristezza e con grande emozione ripercorriamo alcuni momenti del viaggio passato. La cosa più bella e che ha reso secondo me il viaggio PERFETTO è stata la sintonia che si è creata tra noi tutti come fossimo amici di lunga data.

Mercoledì 3 dicembre: Rientro in Italia, un lungo viaggio con parecchie ore di sosta a Roma. E si torna alla vita normale quella di tutti i giorni quella dei sogni e a volte anche dei bei ricordi … come accadrà da oggi in poi.

farmacia_cesca@libero.it


scrivi qui il tuo commento