Angkor


di Luigi

Arrivammo con un volo vietnam airlines da Ho Chi Minh City e appena entrammo nella periferia di Phnom Penh lo vedemmo; era il grande campo dei soldati dell’onu, quasi tutti australiani, circa 22.000, quell’anno si votava per la prima volta (1993).
Le elezioni si tenevano in maggio ma lui, Pol Pot il sanguinario, era ancora forte lassù a nord, sulle montagne al confine con la Thailandia. I khmer rouges, il suo esercito, erano ancora ben attivi in tutto il paese e talvolta si facevano vivi con azioni anche alla periferia della città.
Un amico aveva prenotato il cambodiana hotel, il migliore, splendida architettura orientale sulla sponda del Mekong river; sotto a pochi metri c’erano dei maiali ma si sa, in Asia, queste cose succedono.
Non si vedevano turisti ma solo dolore ed orrore, pochi ridevano anche se giovani, conferma fu data dalle prime escursioni. Il museo degli orrori e il “genocidial center” fuori città ci accolse con una pagoda vetrata di 9.000 teschi, mentre subito dietro si vedevano le fosse ed i campi dove vennero massacrati tanti cambogiani; noi però ci togliemmo di dosso la tristezza, eravamo in Cambogia per vedere i templi di Angkor, il più grande sito archeologico indocinese, i fasti della civiltà khmer.
Naturalmente le poche agenzie cercavano tutte di fregarci, tutte volevano solo dollari e tanti, tutte evitavano trattative e questo volo per Siem Reap non si trovava facilmente.
La notte Phnom Penh era buia e deserta, qualche buon ristorante frequentato da quelli dell’onu, il “cafè no problem” per dei turisti (pochi), dava un senso di disperazione, di resa dei conti finale, di ultimo atto. Dopo due giorni di visite al mercato coperto e di giri in taxi, trovammo il volo e lo trovammo anche a buon mercato; solo 120 dollari, contro i 240-270 che chiedevano tutti, Angkor era vicina, bastava volare 1 ora. Vedemmo il vecchio antonov sulla pista, tanti segni della croce, poi entrando una nuvola bianca ci invase ma dissero che era aria condizionata, l’aereo si alzò e fece uno splendido volo sulle acque scure del lago Tonle Sap, a bassa quota, quasi panoramico.
Fu rapido prendere un taxi e avviarsi verso la zona archeologica, pagare il ticket ed entrare: ricordo che all’ingresso c’era un ottimo hotel che rivisto in tv, anni dopo, è divenuto un 5 stelle. Delle piante gigantesche si erano impadronite dei muri e delle stanze di Angkor Thom, seppur i primi soldi francesi per il restauro avevano già ripulito l’area.
Dopo poco la giungla si aprì, apparvero dei bufali sotto i muri e qualche bambino, anche la luce aumentò e si distinse nettamente la profondità ed il diametro dei  bassorilievi di Angkor Vat, il vaticano buddista del 1200.
Una costruzione immensa anche se ad un solo livello, costruita in quasi 200 anni, in un luogo di un fascino eccezionale che per essere raggiunto richiede un viaggio esclusivo. Ricordo un fotografo francese ed un paio di signore tedesche; ricordo soprattutto che quando tornai a Phnom Penh credevo di aver compiuto un’impresa, ormai mi sentivo un po’ indiana jones!

1993 penisola indocinese

Luigi Cardarelli


scrivi qui il tuo commento